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 2011  aprile 22 Venerdì calendario

GOVERNO LIBERALE, RICETTA SOCIALISTA

Bellunesi gli avi, val­tellinese di nasci­ta, Giulio Tremon­ti racchiude in sé i due mondi: follia veneta e praticità lombarda. Im­prevedibile e contraddit­torio. Punto comune tra le sue etnie - dolomitiche le une, orobiche le altre ­è che sono entrambe alpe­stri. Dunque, testa dura. Il Cav se l’è trovato per caso sulla sua strada. Tre­monti nuotava nel vivaio socialista di Gianni De Mi­chelis. Si era formato alla scuola di Franco Reviglio, barone rosso garofano e ministro delle Finanze nei primi ’80, tra altri gio­vanotti promettenti: Vin­cenzo Visco- futuro mini­stro pd, ribattezzato Dra­cula per la voracità fiscale - Domenico Siniscalco, Franco Bernabè, Alberto Meomartini, tuttora in au­ge e ben piazzati. Scom­parso il Psi con Tangento­poli, Giulio si candidò al­la Camera col Patto Segni nelle elezioni 1994 vinte da Berlusca. Messo piede a Montecitorio, fece il sal­to della quaglia dalla sini­stra al Cav. Un’ora dopo era ministro delle Finan­ze. Imprevedibile e con­traddittorio, appunto. Si era svolto tutto così in fretta che né Silvio, né Giu­lio pensarono di verifica­re se le loro idee erano compatibili. Che il Cav si considerasse liberale l’aveva detto in tutte le sal­se. Cosa fosse invece Tre­monti, oltre che sociali­sta, non lo sapeva nessu­no. Lì per lì, la cosa non ebbe peso perché il pri­mo governo di centrode­stra durò lo spazio di un mattino e seguirono sette anni di opposizione. Nel­l’intermezzo, Tremonti ri­mase accanto al Cav ma si legò alla Lega, innamo­randosi- si fa per dire, per­ché è un tipo freddino ­delle libertà padane con­tro lo Stato accentratore. Scrisse pure un libro in tono: Lo Stato criminogeno . Un manifesto liberale. «Bene, allora è dei nostri», si disse il Cav che pensava di avere risolto il quiz Tremonti. Tornato a Palazzo Chigi nel 2001, gli affidò totalmente la cassa facendolo super ministro dell’Economia, ossia delle Finanze, del Tesoro e del Bilancio. Fu in quel 2001 che il Berlusca e il centrodestra cominciarono a inchinarsi a Giulietto e a consegnargli i destini del governo, della coalizione e del Paese.
Prudentemente, Tremonti debuttò liberista. E fece la sua cosa più berlusconiana: abolì le imposte sugli utili d’impresa reinvestiti nell’azienda. Poi, con padano realismo, elargì un condono fiscale. Era il mercato con qualche eccesso. Unico neo è che, nel farlo, contraddiceva se stesso. Una volta scrisse: «In Sudamerica il condono fiscale si fa dopo il golpe. In Italia lo si fa prima delle elezioni. La sostanza non cambia: il condono è comunque una forma di prelievo fuorilegge». Giulietto decise di ignorare con la destra ciò che faceva con la sinistra e moltiplicò le sanatorie.
È nei primi anni del 2000 che getta la maschera, dichiarandosi «colbertiano», cioè statalista col botto. Colbert era ministro del Re Sole, - quello dello «Stato sono io » - ed emblema dell’assolutismo. Un uomo tutto industrie pubbliche, dogane, balzelli. Giulio è uomo di spirito e sembrava una boutade. Era invece il suo volto vero.
I n questa legislatura, Tremonti non ha fatto una sola cosa di sapore liberale, lasciando totalmente irrealizzato il programma di governo, salvo l’abolizione dell’Ici. Grazie al cattivo carattere ha tenuto a posto i conti dello Stato, chiudendo i cordoni della borsa ai ministeri senza distinguere tra spese essenziali e rinviabili. Ha esasperato ministri e Berlusconi. Ha alimentato la sfiducia nelle capacità riformatrici del centrodestra.
Ora, il tremontismo rischia di essere la tomba del berlusconismo. Col suo tabù sul pareggio del bilancio, senza un occhio allo sviluppo, passeremo i nostri giorni con la cinghia stretta, eternamente sull’orlo del burrone.
Nonostante gli impegni programmatici e le sollecitazioni, non ha mosso un dito per alleggerire le imposte. Anzi, quanto a fisco ha superato Visco, l’ex sodale dei tempi di Reviglio. Ricordate, l’estate scorsa, l’arrembaggio delle Fiamme gialle sullo yacht di Briatore?
Una scena da Malesia salgariana che ha fatto fuggire dalle nostre darsene le barche di mezzo mondo. Una settimana dopo era tutto finito. Un’inezia burocratica era stata trasformata in una dimostrazione muscolare. Pare che l’osceno spettacolo abbia causato al settore una perdita stagionale di due miliardi (quattromila miliardi vecchie lire). Non contento, Giulietto e i suoi uffici hanno piazzato al confine svizzero telecamere per controllare i passaggi in ingresso e uscita, contro esportatori di valuta, spalloni e valicanti vari. Una pura, e inutile, intimidazione da Berlino sovietica che per poco non finiva col ritiro dell’ambasciatore elvetico.
Non so davvero da cosa derivino queste rodomontate inconciliabili con uno Stato di diritto e incompatibili col centrodestra libertario, anti- intercettatorio e anti-giustizialista. Che sia l’origine socialista di Giulio? Un’esagerata immedesimazione col potere a furia di fare il ministro in solitaria? O un’influenza del passato? Tremonti è stato titolare di un famoso studio tributario con clienti danarosi che cercavano da lui, che conosceva ogni anfratto, rifugio dal Fisco. Nominato ministro, è passato dall’altra parte della barricata, come se un ladro- absit iniuria verbis- diventasse capo della Mobile. Ecco, allora, l’umano desiderio di dimostrare che Tremonti non si fa infinocchiare come invece riusciva a farlo lui con i predecessori.
Altra fissa socialistica di Giulio è ripristinare dazi. Ce l’ha con Pechino che esporta dannatamente ma senza piegarsi ai rigori Ue. C’è in questo antiglobalismo un’eco dei lumbard .
Invece di considerare la Cina come un’opportunità, la considera nemica. L’opposto della Germania che, anziché farsi sommergere dai suoi prodotti, l’ha invasa dei propri e ora guida la ripresa mondiale.
Tremonti è soprattutto un carattere. Decide di testa sua e se lo ostacolano ha le dimissioni in tasca. Le dà e le ritira a ogni Consiglio dei ministri. Ogni tanto è iperottimista. Nel 2008 voleva una supertassa sulle banche perché troppo ricche. Un mese dopo, scoppiata la crisi, corse a finanziarle perché non fallissero. Segno che non aveva previsto nulla. Altre volte è catastrofista. Dal 2008, ripete che il greggio arriverà a 200 dollari il barile. Invece, siamo stati a lungo sotto i cento e ora poco più su.Insomma, un po’ dà i numeri. E poi guardate che tipo, si preoccupa tanto del caro greggio, ma è il primo ad affondare l’atomo. Da tempo è alla testa dell’antinuclearismo nostrano. Centrali troppo care, energia pericolosa, le scorie non ti dico. In questi giorni post Fukushima, impazza. Quello che fa effetto è che il nucleare era un punto fermo del governo, e lui - che ne è magna pars - lo silura senza consultarsi con nessuno. O così, o pomì. Ministro o amico del giaguaro?
Finora Giulio ci ha fatto venire il ballo di San Vito. Per vederlo disteso deve essere in famiglia, tra i monti di Sondrio. Ha una moglie e un figlio. Un fratello farmacista detto «lampadina» per la calvizie, un altro cattolico lefebvriano e una sorella artista. Sostengono che tutti, senza eccezione, siano più simpatici di lui. Relata refero .