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 2011  aprile 22 Venerdì calendario

LE MANI DEI BOSS SUL CALCIO: «COSI’ AVREMO PIU’ CONSENSO» —

Fanno divertire i giovani col calcio e intanto puliscono i soldi sporchi. La ‘ ndrangheta nel pallone è vista come benefattrice. I boss fingono di appassionarsi al football, diventano presidenti di società di calcio e questo loro impegno si traduce in consenso popolare. In realtà non è altro che una forma di oligarchia criminale. Ed ecco quindi spuntare tra i 190 milioni di euro sequestrati ieri dalla magistratura reggina al clan Pesce che «governa» Rosarno, due società di calcio: l’Interpiana di Cittanova e il Sapri (Salerno), squadre che militano nel campionato di serie D, girone I. A gestire gli affari calcistici della cosca era Domenico Varrà, il «mister» , già arrestato in precedenti inchieste sulla famiglia Pesce. Varrà era il faccendiere del clan con delega proprio all’attività sportiva. La Figc ha deciso di aprire un’indagine sulle due società. Il sequestro dei beni effettuato dalla Guardia di Finanza di Reggio Calabria e dallo Scico di Roma, in collaborazione con i carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria ha riguardato anche decine di imprese sparse sul territorio della piana di Gioia Tauro, immobili acquistati in Lombardia, Campania e Roma, complessi sportivi e alcune aree di servizio. «Abbiamo tolto il sostegno finanziario ai Pesce» , ha spiegato il procuratore distrettuale Giuseppe Pignatone. «C’è comunque da sottolineare che in appena un anno e mezzo sono stati sequestrati ai clan del reggino 1.600 milioni di euro che, per un’economia povera come quella della provincia di Reggio Calabria – ha aggiunto Pignatone —, pone l’organismo che gestisce la custodia giudiziaria dei beni sequestrati alla criminalità come l’azienda più importante della provincia» . Un contributo determinante all’indagine patrimoniale sulla cosca di Rosarno è stato fornito da Giuseppina Pesce. Nipote del boss Giuseppe Pesce, la donna si è pentita sei mesi dopo l’operazione All Inside, aprile 2010, che ha decapitato il vertice del clan. Affiliata alla cosca che porta il suo cognome, Giuseppina aveva raccontato ai magistrati la storia criminale della sua famiglia. «Lo faccio per i miei tre figli. Voglio provare a costruire un futuro diverso per loro» , aveva detto. Le sue dichiarazioni hanno portato in carcere sabato scorso la madre Angela Ferraro e la sorella Marina, arrestate a Milano, con l’accusa di associazione mafiosa. Giuseppina Pesce ha avuto però uno strano ripensamento e nei giorni scorsi ha deciso di non rispondere più alle domande dei magistrati della procura antimafia di Reggio Calabria. Le ammissioni della pentita, che aveva il compito di riciclare il denaro illecito, hanno fatto conoscere agli inquirenti anche il meccanismo attraverso il quale la famiglia Pesce era riuscita ad accaparrarsi la grande distribuzione alimentare. Una importante catena di supermercati in Calabria era, infatti, nelle loro mani. Così come era loro la gestione degli autotrasporti che permetteva di gestire il traffico della cocaina. «Rosarno è oggi veramente libera. Adesso tocca ai rosarnesi fare la loro parte» , dicono gli inquirenti. Il primo segnale è stato la richiesta di costituzione di parte civile di Comune, Provincia e Regione al processo All Inside, iniziato lo scorso martedì. Stessa richiesta è stata avanzata dal Commissario straordinario di governo per le iniziative antiracket e antiusura.
Carlo Macrì