Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  aprile 22 Venerdì calendario

Il leghista dal volto umano prova a prendersi Bologna - Se alle prossime amministrative il centrodestra dovesse perdere Milano sarebbe una sorpresa, ma se a Bologna dovesse saltar fuori un sindaco leghista altro che una sorpresa: sarebbe un cataclisma

Il leghista dal volto umano prova a prendersi Bologna - Se alle prossime amministrative il centrodestra dovesse perdere Milano sarebbe una sorpresa, ma se a Bologna dovesse saltar fuori un sindaco leghista altro che una sorpresa: sarebbe un cataclisma. Chi vedesse a palazzo d’Accursio – sulla poltrona che fu di Dozza, Fanti, Zangheri e tanti altri miti della buona amministrazione rossa – un primo cittadino con il fazzoletto verde, penserebbe di sognare. «Impossibile», direbbe. Eppure sembrava impossibile anche che il Pdl cedesse alla Lega il candidato sindaco: e l’ha ceduto. Sembrava impossibile anche che si arrivasse, a meno di un mese dal voto, a parlare di ballottaggio: e ieri un sondaggio della Swg ha detto che si andrà al ballottaggio. Al quale si presenterebbero ovviamente Virginio Merola, candidato del Pd, e meno ovviamente l’uomo che alle 8 e mezza del mattino mi riceve aprendo la sua sede elettorale in via Nazario Sauro: si chiama Manes Bernardini, ha 38 anni, fa l’avvocato ed è appunto il candidato sindaco, leghista, del centrodestra. Ha una vaga (vaga, eh) somiglianza con Tom Cruise ed è forse per questo che l’hanno scelto per la mission impossibile. Ma guai a parlargli di mission impossible: «Ce la possiamo fare, lo capisco dall’aria che tira. E poi Merola lo abbiamo già battuto una volta, quando era assessore all’urbanistica di Cofferati e ha progettato la moschea. Abbiamo fatto venire Maroni a Bologna, c’è stato un moto di ribellione e lui ha dovuto fare marcia indietro». La Lega a Bologna aveva lo 0,6 per cento fino al 2009, quando è arrivata al 3 per cento alle Comunali. Dodici mesi dopo, alle regionali, era già al 9. Oggi chissà. Manes Bernardini è uno molto popolare tra la gente comune. In pratica sta alla destra come alla sinistra sta Maurizio Cevenini, il recordman delle preferenze del Pd che doveva correre da sindaco ma che si è ritirato dopo una mezza ischemia (anche se a Bologna, città pettegola, dicono che non c’è stata nessuna mezza ischemia, e che Cevenini è stato costretto al ritiro dal partito. Gelosi del suo consenso popolare, i dirigenti del Pd avrebbero suggerito a Cevenini di simulare la malattia un po’ come i vecchi dirigenti del Pcus «suggerivano» ai non allineati di fingersi pazzi e di farsi internare per il loro bene. Così, fatto fuori Cevenini, il Pd ha potuto candidare un suo uomo d’apparato: Merola, appunto. Chiacchiere, ripetiamo, di una città dove con le chiacchiere ci si taglia a fette). Ma torniamo a Manes Bernardini. L’hanno definito «il leghista dal volto umano» e in effetti non sembra appartenere all’antropologia leghista classica. Non urla, non dice mai che ce l’ha duro o che gli immigrati devono andare fuori dalle balle, anzi sul suo curriculum ufficiale alla terza riga ha voluto far sapere che sua moglie Lucia «è pugliese». Prima ancora che essere un leghista è un emiliano: e non dimentichiamo che l’Emilia è il Nord del Sud ma è anche il Sud del Nord. Manes è nato a Casalecchio di Reno e i suoi genitori sono dell’Appennino bolognese: due famiglie di agricoltori, quella del babbo viene da Porretta Terme, quella della mamma da Marzabotto. Lui tiene però a precisare che il ceppo originario dei Bernardini viene da Rocca Corneta, frazione di Lizzano in Belvedere, il paese natale di Enzo Biagi. «E ha presente Charles Bernardini, quello dello staff di Obama? Viene anche lui da Rocca Corneta, mi dicono che c’era parentela tra i nostri nonni». E’ educato e parla bene, anche se han messo in giro la voce che non becca un congiuntivo. Piace anche a molti di sinistra, delusi dall’agghiacciante sequenza Cofferati-Delbono. Se dev’esserci una via emiliana al leghismo, questo Bernardini sembra incarnarla a puntino. «Guarda», mi dice indicando una bandiera della Lega Nord cui sono stati aggiunti, nell’ordine, una scritta «Bologna», le due torri, San Petronio e il Nettuno: «Se togli tutti i simboli e tutte le scritte, quel che resta è la bandiera del Comune di Bologna: una croce rossa in campo bianco». Bernardini punta sulla voglia di riscatto di una città che ha perso lo smalto e la gioia di vivere di un tempo, ha perso la centralità, ha perso anche la fama di buona amministrazione. La gente si lamenta per la sporcizia nella strade, per le scritte sui muri, per la paura a circolare in quartieri come la Bolognina («Sembra il Bronx», dice Manes) e la Lega è attenta a queste solo apparentemente piccole cose. La via emiliana al leghismo potrebbe dunque succedere all’ormai archiviata via emiliana al socialismo, quel capolavoro mirabilmente descritto negli anni d’oro da un artigiano di Carpi a Giorgio Bocca: «Che cos’è qui il socialismo? E’ il capitalismo gestito da noi». Sarà dura, per Manes. Ma non è detto. E’ vero che ha sbagliato la data della Liberazione di Bologna, collocandola in ottobre anziché il 21 aprile. Ma il resto è anche peggio. Il candidato del Movimento Cinque Stelle, Massimo Bugani, ha detto di non sapere chi era Dossetti e Virginio Merola del Pd è ormai arcinoto soprattutto per la gaffe sul Bologna calcio («Spero che torni in serie A»). Il leghista dal volto umano, se non altro, ha lo stesso cognome dell’allenatore dell’ultimo scudetto e allo stadio va tutte le domeniche.