PAOLO BARONI, La Stampa 22/4/2011, 22 aprile 2011
Fiom nell’angolo Sulla Bertone la partita è persa - Che vincano i «sì» oppure i «no», questa volta più che mai, la partita per la Fiom finirà con una sconfitta
Fiom nell’angolo Sulla Bertone la partita è persa - Che vincano i «sì» oppure i «no», questa volta più che mai, la partita per la Fiom finirà con una sconfitta. Più o meno dolorosa, ma sarà comunque una sconfitta. Lo sanno bene Landini e compagni che in vista del referendum del 2-3 maggio sono intenzionati a non dare alcuna indicazione di voto. Le tute blu della Cgil sono per il «no», per il muro contro muro, ma in cuor loro si augurano che vincano i «sì». Per trarsi un po’ d’impaccio, per uscire dall’angolo in cui si sono auto-relegati in questi mesi. Partita delicatissima questa della Bertone, fabbrica ormai da sei anni ferma che Marchionne vorrebbe riaprire investendo mezzo miliardo di euro per produrre la nuova baby-Maserati. Delicata perché, come ha già messo in chiaro la Fiat, è proprio dall’esito di vicende come queste, e dai ricorsi che poi innescano (vedi Pomigliano), che dipende lo sviluppo o meno del «programma Fabbrica Italia», ovvero i nuovi investimenti del Lingotto in Italia ed il futuro degli stabilimenti che ancora non adottano il nuovo modello contrattuale-produttivo di Pomigliano e Mirafiori. Investimento in bilico Questo «modello», che la Fiat vorrebbe applicare anche ai 1100 dipendenti della ex Bertone, alla Fiom non piace affatto. E visto che nella Rsu di questo stabilimento è in maggioranza il timore è che l’accordo, condiviso da tutte le altre sigle sindacali, venga respinto. Spingendo la Fiat a riconsegnare le chiavi della fabbrica con tutti i suoi dipendenti alla gestione commissariale e a scegliere altre soluzioni, non necessariamente in Italia. Se dalle urne uscisse una maggioranza di «sì» la linea della Fiom verrebbe clamorosamente sconfessata, e la sconfitta sarebbe certamente eclatante. Però non sarebbe più facile da gestire una vittoria dei «no»: perché in questo caso ai meccanici Cgil verrebbero addebitate sia la morte definitiva dell’ex Bertone, sia le scelte successive di Marchionne. Per non parlare poi della possibilità di veder trasferito l’investimento a Mirafiori, dove ai dipendenti ex Bertone eventualmente riassunti verrebbero comunque applicate le stesse regole che con la consultazione gli operai hanno respinto. Iscritti in picchiata Per questo di fronte referendum la Fiom potrebbe decidere di non dare indicazioni di voto, scaricando la responsabilità della scelta sui lavoratori. Lasciandoli soli a decidere. «Una cosa che non esiste lamenta Giuseppe Farina, capo dei meccanici Cisl -. Un sindacato deve scegliere, dare indicazioni ai propri iscritti». Alla prova dei fatti, sostengono in molti, questa sarebbe la conferma che la strategia della Fiom «non funziona». Continuare a praticare la politica del muro contro muro e chiamarsi fuori da ogni accordo però inizia a pesare: a Pomigliano 8-9 mesi dopo lo strappo, complice la riduzione dei permessi e l’esclusione dalla rappresentanza aziendale, la Fiom ha perso un terzo degli iscritti. La «casa madre», cosa dice? Cosa pensa? Il segretario generale Susanna Camusso, in questa fase, ha deciso lasciare gestire la partita alla Fiom. E anche dopo la fumata nera di martedì a Torino ha speso poche parole: «Pesano ancora una serie di scelte precedenti, non c’è la volontà di cambiare pagina». Messaggio chiaro, sia per Landini che per Marchionne. Al quale ieri ha ricordato che rilevando la Bertone dall’amministrazione controllata la Fiat ha assunto impegni precisi con governo e lavoratori «che ora vanno rispettati». In Corso Italia si osserva con una certa preoccupazione l’evolversi della vicenda. «Bisogna continuare a trattare», sostiene Vincenzo Scudiere, che dopo essere stato segretario della Cgil Piemonte da segretario nazionale segue le politiche industriali. «La strada da intraprendere è una sola, cercare punti di equilibrio e intanto avviare l’investimento. Quindi continuare a trattare». Alla Cgil nessuno fa mistero di vedere di buon occhio la mediazione avanzata nei giorni scorsi dal sindaco Chiamparino. Che propone, in sostanza, di sospendere le norme sull’assenteismo e la clausola di garanzia. Ma gli scenari possibili, anche a fronte di una bocciatura dell’accordo, sono diversi: la Fiat potrebbe confermare ugualmente l’investimento per la nuova Maserati puntando su Mirafiori e assumendo qui una parte dei dipendenti Bertone, potrebbe decidere di portare la produzione negli Usa, o magari - spera qualcuno, ma Marchionne lo esclude categoricamente - assumersi la responsabilità di far marciare comunque il progetto-Grugliasco anche di fronte ad una maggioranza di no. Detto questo, nessuno in Cgil si sorprenderebbe se a referendum concluso la Fiom si producesse in un’altra piroetta e decidesse di dichiarare illegittima la consultazione. Chi lavora e chi sta in «cassa» Tra il numero dei «sì» e quello dei «no» c’è infine una variabile, anzi due. Innanzitutto, c’è un drappello di 250-300 operai che già ora lavora «in distacco» in altri stabilimenti Fiat e che ovviamente vuole continuare a farlo anche in futuro. Ma tra i 1100 della Bertone in cassa integrazione ormai da sei anni, tutti con un’età abbastanza avanzata, ci sono anche tanti che in questo lasso di tempo hanno trovato altre forme di integrazione del reddito che ora farebbero fatica a lasciare. Al punto che preferirebbero restare ancora in «cig», poi magari farsi un po’ di mobilità per arrivare quindi più o meno agevolmente all’età della pensione. I sindacalisti lo definiscono «interesse soggettivo dei singoli»: una forma di egoismo, insomma, che potrebbe anche decretare la morte definitiva di una fabbrica (una volta) importante.