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 2011  aprile 22 Venerdì calendario

LA SPINTA SUI MODELLI. ECCO LE PRIORITA’ SULL’ASSE TORINO-DETROIT —

Finora ha pedalato. Ha però anche — in parte giocoforza, in parte strategicamente — tirato più di un freno. Adesso può dare gas. Ancora in salita, almeno per un po’. Ma la macchina c’è, quell’ «impegno che ci ha fatto concentrare meno sull’Europa» (ammissione di pochi giorni fa) ha portato dove doveva portare. Non è solo il controllo di Chrysler. Questa è la prima forma visibile, e ovviamente tutt’altro che simbolica, del disegno cui Sergio Marchionne ha cominciato a pensare nel pieno della Grande Crisi Globale. E che certo non è completato: ci vorranno altri mesi, per chiudere il cerchio. Però è proprio da qui, oggi, che può cominciare a spingere sul vero acceleratore. Quello industriale. Anche in Italia, ideologie Fiom e «condizioni Paese» permettendo. Il lavoro, e le energie, e le risorse fisiche, sinora sono stati assorbiti soprattutto dagli Usa per due ragioni. La prima è la più scontata: Chrysler era un’azienda fallita, aveva bisogno della stessa scossa data da Marchionne alla Fiat nel 2004. La seconda, è quella che troppo spesso si sottovaluta: per poter tornare a concentrarsi un po’ più che part time sulla sponda europea dell’Atlantico «dovevamo assicurarci di aver stabilito tutte le connessioni tra Fiat e Chrysler» . Adesso ci sono. Anzi: è semmai il Lingotto che, dopo averla esportata, deve riprendersi da Auburn Hills la «lezione 2004» . Ma dal tavolo, con la mossa di ieri, Marchionne elimina il macigno che più pesava sullo sviluppo di un gruppo da pensare ormai definitivamente come un unicum. Scrive su Time Steven Rattner, l’ex «zar dell’auto» Usa, che «senza Sergio Marchionne la terza casa americana quasi sicuramente oggi non esisterebbe: la sua visione su quello che l’alleanza Fiat-Chrysler avrebbe potuto raggiungere, il suo successo con la casa italiana e la sua illimitata energia sono stati elementi critici nella decisione di Barack Obama di tenere Chrysler in vita con i soldi dei contribuenti» . Ecco, appunto. È vero anche il contrario. È vero che senza i prestiti governativi Marchionne non avrebbe mai potuto farcela. Non ci si sarebbe nemmeno messo. Solo che quei fondi gli costano mediamente l’ 11%. Se il bilancio Chrysler 2010 è in rosso, è perché gli interessi si sono mangiati quasi due volte gli utili industriali: 1,4 miliardi di dollari i primi, 763 milioni i secondi. Un rimborso il prima possibile era l’imperativo. Avverrà entro giugno, al rifinanziamento con le banche mancano pochi dettagli. E con ciò, Marchionne centrerà il secondo obiettivo: portarsi a casa il 16%a un prezzo che non potrà mai più essere così basso. Di più. Non è evidentemente solo per ragioni di mercato a picco e di sviluppo delle sinergie Torino Detroit se, nell’ultimo anno e mezzo, Marchionne ha dato l’okay ai progetti «italiani» di nuovi modelli ma ha poi bloccato o rallentato la partenza effettiva degli investimenti. Che ora stanno arrivando. La Panda a Pomigliano è avviata. I Suv Alfa e Jeep a Mirafiori sono ai blocchi. L’accelerata sul resto (se qui o altrove dipenderà dallo scenario Fiom) sarà la risposta che l’amministratore delegato Fiat-Chrysler ha in tasca per gli scettici. Poi sa che riprenderanno— puntuali, e già da ieri— le polemiche sulla «testa in America» . Ed è probabile, quasi certo, che la sede legale finisca là. Intanto, però, sarà un’azienda americana a finire nel portafoglio di un’azienda italiana. Già da quest’anno il bilancio del Lingotto consoliderà i conti Chrysler. E il gruppo globale che Marchionne promette sarà costato a Fiat, alla fine, una mole spaventosa di lavoro. Ma solo 860 milioni di euro.
Raffaella Polato