Fabio Cavalera, Corriere della Sera 22/04/2011, 22 aprile 2011
«IO, PRINCIPESSA DELLA ‘NDRANGHETA CON UN PAPA’ KILLER» —
Era piccolina e il papà Emilio, boss del clan Di Giovine Serraino, se la portava in 500 a Lugano per «coprire» le sigarette che contrabbandava a Milano. «Gli agenti alla frontiera vedevano una bambina e non ci fermavano. L’auto era carica di stecche. Ci dormivo sopra» .
Fu questa innocente complicità che la iniziò precocemente al business di famiglia. Tutto sommato una gita fuori porta, pensando alla scalata criminale successiva e a quello che avrebbe combinato la «principessa» di una fazione potente di ’ ndrangheta, che aveva la sua base in Lombardia e vantava una rete di «alleati» in America (i Gambino di Cosa Nostra), in Turchia e in Spagna.
Nel tempo, Marisa affinò la professione: diciannovenne smaliziata, stipò in una Citroën pistole automatiche e kalashnikov, comperati da un faccendiere olandese, e da Milano si diresse in Calabria dove le bande erano in guerra. «Ragionavo come una mafiosa» . Allora, divenne il comandante Marisa. Ritirava dalle cassette di sicurezza in Svizzera un miliardo e mezzo in contanti («sempre pronti» ) che ficcava nella lingerie e correva a pagare il «sultano» , il fornitore marocchino di hashish. Si occupava dei colombiani che spedivano eroina e depositava i profitti del narcotraffico nelle banche all’estero. «Enormi partite di droga sbarcavano a Gioia Tauro e venivano trasferite coi camion a Milano. La distribuzione richiedeva un lavoro di squadra e la nostra famiglia aveva al suo servizio una sessantina di ragazzini» . Con suo padre Emilio, che entrava in carcere e ne usciva a suo modo (fuga da San Vittore, fuga dall’ospedale milanese Fatebenefratelli, fuga persino dalle prigioni americane), governò le finanze del clan e fece ballare centinaia e centinaia di milioni in valute fra le Bahamas, l’isola di Man, Londra, Ginevra, Zurigo. Gli spiccioli restavano nel Lancashire. Le sigarette dell’inizio erano poca cosa rispetto al resto.
Oggi Marisa Merico, il cognome è dell’ex marito Bruno pure lui un vecchio «affiliato» , trasforma quel passato rocambolesco e feroce, di lusso e violenza, nell’appassionante saggio-verità «L’intoccabile» (uscito nel Regno Unito, in Italia per Sperling &Kupfer), che sarà un film: la società di produzione Greenlit ne ha opzionato i diritti. Vive vicino a Blackpool assieme a Lara e Frank, i figli avuti da due uomini diversi; il primo (Bruno) sposato a Milano in stile "Padrino"(«arrivai in Rolls Royce alla cerimonia» ) è finito in galera e il secondo è finito ammazzato. «Cerco la normalità» — dice. E non è facile, dopo una vita così pazza nella quale si sono incrociate la sua metà inglese (la mamma Pat) e la sua metà italiana (il papà Emilio). Contro di lei pende una richiesta di estradizione da parte di Roma per un residuo di pena da scontare. Deciderà Londra il prossimo mese. Marisa ha consegnato le sue memorie ed è stato un atto di coraggio. E ora racconta.
«Sono nata in una ’ ndrina, il 19 febbraio 1970» . Il parto avvenne sul tavolo della cucina nell’appartamento di piazza Prealpi a Milano. «’ Ndranghetisti lo si è dal primo respiro» . Armi, eroina e hashish, vendette e omicidi, zii freddati da sicari nemici («lo zio Domenico fu ucciso da un colpo di fucile calibro 12 mentre era sul balcone a fumarsi un sigaro» ), poliziotti corrotti: sono i capitoli che hanno punteggiato una storia e una carriera lunghe 41 anni, gli anni di Marisa, cominciati con l’incontro imprevedibile fra una sognante adolescente inglese (la futura mamma della «principessa» ) e uno dei dodici figli (Emilio) della «signora Maria» di Reggio Calabria, «Serraino purosangue» , e di Rosario Di Giovine, altro pezzo da novanta. «Ma era la nonna Maria il capobastone. L’ultima parola era sua» .
Patricia Carol Riley, la Pat di Blackpool sbarcata in Italia per un lavoro temporaneo, si era innamorata di un giovane fascinoso di bella famiglia che però fu costretto a un matrimonio combinato e l’abbandonò. E lei, Pat, si ritrovò nelle braccia di un altro ragazzo. «Ciao bella, ciao tesoro» — le aveva detto spavaldo alla presentazione. Era l’Emilio, Emilio Di Giovine, e proprio non sapeva chi fosse: come poteva una diciassettenne che stava oltre Manica immaginare il mondo di Emilio?
Nella casa popolare di piazza Prealpi a Milano, la prima casa del clan Di Giovine (dopo si spostarono in via Cristina Belgioioso a Quarto Oggiaro), la «signora Maria» nascondeva le pistole o sotto le piastrelle in cucina o negli appartamenti dei vicini, ordinava alla figlia Rita di tagliare l’eroina che era conservata in scatole di detersivo (il suo soprannome divenne «Nonna eroina» ), «pesava la droga vicino al cesto della verdura mentre il denaro era nella sua toeletta privata» , impilava centinaia di milioni in contanti («il suo aggeggio preferito era il conta banconote che teneva in camera da letto» ), pagava gli informatori delle forze dell’ordine. «Una donna calabrese che ho amato e che amo ancora» . Condannata all’ergastolo ma in libertà condizionale per l’età, «Nonna eroina» non è uscita dai recinti della ’ ndrangheta. Marisa e la signora Maria hanno smesso di parlarsi. «E mi dispiace» .
Dunque, dopo quell’incontro, Emilio e Pat si sposarono e subito arrivò Marisa, la principessa. «Non potevo sfuggire alle regole della ’ ndrangheta» . Pat, la mamma, scappò via da Emilio con la figlia, in Inghilterra. Però, la nostalgia di Marisa prevalse: o il desiderio di stare vicino al papà, circondato da mille amanti, o il miraggio dei bei vestiti e delle belle auto, o le illusioni del contropotere criminale. Chissà. Marisa volò in Italia per essere una «Di Giovine» a pieno titolo. Fu risucchiata dalla cosca che pian piano conquistò. L’arrestarono soltanto parecchi anni dopo in Inghilterra, il primo giugno 1994. Girò per le prigioni più dure del Regno Unito, fu accompagnata in manette in Italia e condannata a 10 anni. Il suo avvocato dimostrò che c’era un errore procedurale e Marisa tornò a Blackpool. L’odissea era conclusa. «Sono stata una principessa della ’ ndrangheta. Ma ho pagato» .
La prima donna della cosca Di Giovine a vuotare il sacco è stata la zia Rita, «quella che tagliava l’eroina con lo zucchero» . Papà Emilio, «che sento spesso» , ha dato il colpo di grazia: è diventato una delle fonti più preziose dei magistrati italiani. «Quanto a me, ho scritto nel libro ciò che so, è stata la mia liberazione» . Il patrimonio le è stato confiscato, si occupa dei due figli e della mamma. Marisa non si tira più indietro. «Gli ordini partono ancora dalla Calabria ma il centro è Milano. La ’ ndrangheta ha posato gli occhi sugli investimenti per l’Expo 2015. Non c’è da chiedersi se questo denaro finirà nelle sue casse, ma solo quanto ne resterà fuori» . A qualcuno, laggiù, non è piaciuto che Marisa abbia messo nero su bianco gli affari di famiglia. Ma la principessa ha scelto la sua strada.
Fabio Cavalera