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 2011  aprile 21 Giovedì calendario

Che popolo di ignoranti! Anzi no, siamo coltissimi - Aproposito di «cultu­ra » la frase più infe­lice e più citata del­l’anno, una battuta che ha fatto imbufa­lire in maniera bi­partisan i colleghi di governo e gli avversari all’opposizione, è certamente quella scappata a Giulio Tremonti, secondo il qua­le- citiamo in maniera filologica­mente corretta - «Di cultura non si vive: vado alla buvette a farmi un panino alla cultura e comin­cio dalla Divina Commedia

Che popolo di ignoranti! Anzi no, siamo coltissimi - Aproposito di «cultu­ra » la frase più infe­lice e più citata del­l’anno, una battuta che ha fatto imbufa­lire in maniera bi­partisan i colleghi di governo e gli avversari all’opposizione, è certamente quella scappata a Giulio Tremonti, secondo il qua­le- citiamo in maniera filologica­mente corretta - «Di cultura non si vive: vado alla buvette a farmi un panino alla cultura e comin­cio dalla Divina Commedia ... ». Poiché a un uomo che si occupa di economia si è disposti a conce­dere tante virtù ma non il dono dell’ironia,il ministro non ha fat­to ridere nessuno, scandalizzan­do tutti. E comunque, a dimo­strazione che la cultura si man­gia - eccome- i numeri ci dicono che l’italiano-medio è sempre più affamato. Di arte, di cinema, di musica, forse un po’ meno di libri..., dimostrando insomma un robusto appetito per la Creati­vità e la Conoscenza. A dispetto della litania fune­b­re che l’ intellighenzia snob reci­ta da tempo, soprattutto negli ul­timi anni, sulla condizione bar­barica alla quale si è ridotto il po­polo italico­ignorante, gretto, te­lerimbecillito e tecnocatatonico -, cifre alla mano la gente va più al cinema che allo stadio, consu­ma più libretti d’opera che e-book e in percentuale frequen­ta più i siti archeologici che i sexy shop. Si continua a profetizzare l’apocalisse culturale e ci risve­gliamo in un piccolo paradiso del Sapere. Chi l’avrebbe mai detto? Lo dice l’ultimo rapporto an­nuale di Federculture dal titolo La cultura serve al presente , un re­port molto interessante perché in controtendenza, e non a caso finora passato abbastanza sotto silenzio, che descrive l’anda­mento dei consumi culturali (ma anche gli ostacoli e le ineffi­cienze che, comunque, frenano ancora il completo sviluppo del settore) e che getta per una volta più luci che ombre sulla fruizio­ne del nostro patrimonio artisti­co- archeologico e della nostra in­dustria creativa. Un ambito in cui annaspiamo molto meno di quanto credano i catastrofisti, co­me a esempio, ultimi in ordine di tempo, Christian Caliandro e Pier Luigi Sacco che nel loro sag­gio Italia Reloaded ( il Mulino)di­pingono l’Italia come la terra de­gli «zombie culturali», una landa desolata dove il patrimonio arti­stico più che un tesoro è una tom­ba, visitata da pochi nostalgici, e la produzione culturale contem­poranea completamente morta, incapace di far rivivere dal punto di vista della creatività un Paese che per secoli ha dato lezioni di civiltà al resto del mondo. Oggi forse gli italiani non pos­s­ono più fregiarsi del titolo di pro­fessori, ma non sono neppure asini. Certo: nel campo della tute­la, della valorizzazione e del «ri­lancio » dei beni culturali le cose da fare sono ancora tantissime, ma secondo i dati di Federcultu­re (l’associazione nazionale dei soggetti pubblici e privati che ge­sti­scono le attività legate alla cul­tura e al tempo libero) nell’ult­i­mo anno la fruizione di mostre e musei è aumentata del 3,8% e quella dei siti archeologici del 2,2% (tendenza confermata an­che dalle rilevazioni Siae sulla spesa del pubblico che segna, nel primo semestre 2010, addirit­tura un +43,8%), il teatro è cre­sciuto del 13,4% rispetto al 2009 e persino i concerti di musica classica hanno visto un incre­mento della domanda del 5,9%. Può sembrare un sogno, inve­ce è realtà: gli italiani consuma­no semre più cultura. Anche un giornale come il Fatto quotidia­no, di solito poco disposto a voli di ottimismo in queste cose, scri­vendo ieri del rapporto di Feder­culture e del recente reintegro ai livelli dellos corso anno dei con­­tributi del Fus, ha “dovuto”titola­re «Ora lo spettacolo respira». Fatti, non opinioni. Insomma, tra tagli e crisi eco­no­mica è vero che gli investimen­ti sono sempre di meno ( soprat­tutto da parte dei privati...), sta di fatto che le famiglie italiane per la cultura e lo spettacolo- settore che nel 2010 ha contribuito al Pil con 39,7 miliardi di euro - tirano fuori dalle tasche ben il 7% della loro spesa totale, una bella som­metta. Che peraltro, tra il 1999 e il 2009, in termini assoluti è au­mentata del 24,3%. Tra i singoli settori il cinema è quello con gli indicatori più posi­tivi (ingressi +13,2% e spesa del pubblico +25,6%), ma a crescere è soprattutto il teatro (ingressi +1,2% e spesa del pubblico +3,7%) con un aumento dei con­sumi culturali del 13,5% rispetto al 2009. Un dato ancora più curio­so se si considera il decennio 2000-2010, in cui è cresciuto del 41,86%, quasi quanto ha perso invece la fruizione dal vivo dello sport (-43,17%). Incredibile: più Cechov, meno calcio. E non è un’eresia. Nel 2010, annus mirabilis per l’arte con l’inaugurazione del Maxxi e del Macro a Roma, l’ec­cezionale apertura del Museo del Novecento a Milano, grandi esposizioni-evento, eccetera ec­cetera.., sono andati bene, come già accennato, non solo mostre e musei (+3,8%, con un aumento della spesa del pubblico del 43,8%) ma anche i concerti di musica classica (+5,9%) e le en­trate ai siti archeologici (+2,3%). A proposito: nella relativa classi­fica spicca la tanto criticata e svergognata Pompei che, nono­s­tante le recenti drammatiche vi­cende, vede al suo attivo un 11,1%. L’antica città colpita dal Vesuvio sarà anche “tenuta”ma­le, ma è sempre desiderabilissi­ma. Hanno detto che Pompei è la metafora del Paese che crolla. Forse, specularmente, lo è an­che del Paese che sta in piedi: cri­ticato, svenduto, dipinto come una terra di cafoni senza più me­moria e in crisi di identità e che invece, numeri alla mano, si rive­la più colto di quanto i suoi intel­lettuali di riferimento - sempre un passo indietro rispetto al vil­laggio reale- siano disposti a con­cederle. Italia, povera incompre­sa.