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 2011  aprile 21 Giovedì calendario

Quel carico di Kalashnikov spedito dagli amici di Roma - Mai armi ai ribelli libici, è la linea ufficiale del governo italiano, e non solo

Quel carico di Kalashnikov spedito dagli amici di Roma - Mai armi ai ribelli libici, è la linea ufficiale del governo italiano, e non solo. Eppure, perdurando lo stallo della «soluzione politica» visto che Gheddafi «non se ne andrà mai, mettetevelo in testa», come hanno ripetuto a tutti gli interlocutori italiani i rappresentanti del governo provvisorio degli insorti (Cnt) in visita a Roma, ed essendo al momento escluso l’invio di truppe di terra, non resta che «mettere in condizione i ribelli di autodifendersi», per citare l’espressione sfuggita a Franco Frattini. Anche perché il più pragmatico e il più trasparente degli interlocutori nel governo di Bengasi, quello Shalgam che fu ministro degli Esteri di Gheddafi ed ex ambasciatore a Roma, e che a fine marzo arrivò a chiedere «l’aiuto dell’Italia» direttamente a Giorgio Napolitano nel palazzo delle Nazioni Unite di New York, nel chiuso degli incontri di Roma l’ha quasi gridato: «Decidetevi a darci armi e soldati, Gheddafi non se ne andrà mai di propria volontà, non è possibile alcuna soluzione pacifica per la Libia». Altre armi, evidentemente. Perché a Bengasi i rinforzi sono già arrivati, come ha ammesso il capo militare Abdel Fatah Younnis (portato al vertice di Doha da Franco Frattini sul volo di Stato), pur lasciando «non identificate» le nazioni che li hanno forniti. Ma tra quelle nazioni, riferisce una fonte politica, c’era anche l’Italia, che ha inviato a suo tempo un carico di armi non immatricolate e già avviate alla distruzione. Conferma una fonte dell’intelligence che si è trattato di un carico di Kalashnikov: armi leggere, non adeguate a contrastare i pick-up che attualmente le truppe di Gheddafi attrezzano con artiglieria medio-pesante, e che hanno sostituito i carri armati, mettendo così in difficoltà la Nato: non ci sono più le teorie di tank che si spostano nel deserto, facili bersagli degli attacchi aerei, e quando il Cnt avvisa che la camionetta lealista sta mirando contro Misurata o Ras Lanuf, passano 7-8 ore prima che la Nato possa intervenire, e a quel punto il nemico si è già volatilizzato. Bengasi ha bisogno dunque di armi sofisticate, di più armi sofisticate, ed è per insegnare come usarle che verranno inviati istruttori militari da Gran Bretagna e Francia, e da ieri anche dall’Italia, e che nella versione ufficiale vengono chiamati «consiglieri». Le stesse fonti riferiscono che l’invio delle armi, sofisticate e non, avviene attraverso una triangolazione con il Qatar. L’emiro Sheik bin Khalifa al Thani, dopo che la prima nave qatarina era stata bloccata dalla Nato, ha dichiarato pubblicamente, in un’intervista alla Cnn, di fornire armamenti a Bengasi. E ieri anche il presidente Jalil in visita da Sarkozy ha ammesso, «riceviamo armi da alcuni amici», senza voler specificare da quali nazioni. Ed è certo un altro elemento da tenere in considerazione che il Cnt dichiari di considerare come «migliori amici» anzitutto Qatar, Francia e Italia, e in quest’ordine di elencazione. Ma per quel che riguarda il ruolo dell’Italia sul suolo libico c’è di più. Al momento non invieremo truppe ma sul terreno, «in maniera discreta» come segnala una fonte dell’intelligence, manderemo uomini: in borghese, e non solo dei servizi segreti, già ampiamente presenti in Tripolitania come in Cirenaica. Tra i compiti anche quello di monitorare l’uso di cluster bomb, le bombe a grappolo: non sarebbero solo di fabbricazione americana, elemento che ha riacceso le polemiche sul fatto che gli Usa (esattamente come la Libia di Gheddafi) non hanno firmato la Convenzione del 2008 contro le bombe a grappolo. Si teme possano esser state vendute da qualche nazione occidentale, e in cambio di petrolio. L’intelligence italiana poi è anche a Tripoli per mantenere attivo un canale di contatto con il clan di Gheddafi, esclusi i congiunti più stretti: una misura precauzionale - precisa una fonte politica del Pdl qualora si rendesse possibile la pacificazione nazionale. Perché la tribù dalla quale provengono i Gheddafi è la più numerosa, e ancora la più influente della Libia. E poiché si teme come il fuoco lo scenario, al momento reso probabile dallo stallo nelle operazioni militari, di una divisione di fatto tra Cirenaica e Tripolitania, il governo italiano appoggia ufficialmente e solennemente Bengasi, ma i servizi non lasciano da sola Tripoli. Dove è l’Eni a tenere accese le lampadine nella tenda di Bab al Azyzia.