Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 21/04/2011, 21 aprile 2011
LA BAIA DEI PORCI LE RAGIONI DI UN ERRORE
Si ricorda in questi giorni il cinquantesimo anniversario del tentativo americano di rovesciare il regime di Fidel Castro, noto come operazione Baia dei Porci. Stranamente tutti i principali protagonisti ne uscirono rafforzati nel prestigio (i Castro sono ancora oggi al potere). Ma come andarono realmente gli avvenimenti?
Oscar Magrassi
oscarale@tiscali. it
Caro Magrassi, sulla spedizione, sul suo fallimento e sul riscatto dei dissidenti cubani caduti nelle mani dell’esercito di Castro, è stato detto e scritto tutto. Restano qualche dubbio e qualche interrogativo, invece, sulle ragioni per cui John F. Kennedy, eletto alla Casa Bianca nel novembre del 1960, abbia accettato di dare il via a un progetto che era stato approvato dal suo predecessore, il generale Eisenhower, e di cui aveva avuto notizia soltanto dopo la sua elezione. La ricostruzione più efficace e credibile della fase che precedette l’impresa è probabilmente quella di Arthur Schlesinger jr, consigliere di Kennedy e autore di un libro sulla sua presidenza intitolato «Mille giorni» . Schlesinger scrive che il piano fu esposto a Kennedy da Allen Dulles, direttore della Cia, il 29 novembre, quando il presidente eletto non si era ancora installato alla Casa Bianca. Kennedy stette ad ascoltare, autorizzò la continuazione del lavoro preparatorio, ma lasciò chiaramente intendere che la decisione definitiva sarebbe stata presa soltanto dopo una più approfondita riflessione. Nei mesi seguenti vi furono riunioni durante le quali il piano prese forma. Il piccolo esercito cubano che la Cia stava addestrando in Guatemala sarebbe stato sbarcato nella Baia dei porci, in una zona chiamata Trinidad. I fautori dell’impresa davano per scontato che l’avvenimento avrebbe avuto l’effetto di scatenare nell’isola una rivolta anti-castrista e che buona parte dell’esercito cubano avrebbe fatto causa comune con gli esuli. Sapevano che Kennedy era contrario all’intervento dell’aviazione, ma pensavano che il presidente, se gli esuli si fossero scontrati con una maggiore resistenza, avrebbe cambiato parere e ordinato all’aeronautica militare degli Stati Uniti di bombardare le postazioni militari cubane. Vi furono quindi, in tutte quelle riunioni, alcuni potenziali malintesi che si preferì non dissipare. La carta decisiva a favore dell’intervento fu giocata da Dulles quando il direttore della Cia disse che l’annullamento dell’operazione avrebbe creato un problema: che cosa fare dei cubani (circa 700) che la Cia stava addestrando in Guatemala? Non era possibile portarli negli Stati Uniti e permettere che andassero in giro per le Americhe raccontando tutto ciò che era accaduto in Guatemala nei mesi precedenti. Fu questo, probabilmente, l’argomento che convinse Kennedy. Dopo tutto erano cubani e volevano tornare nella loro patria. Perché impedirglielo? Fu una decisione cinica e ipocrita, ma dovette essere quella che parve a Kennedy, in quel momento, la sola possibile. Il presidente continuava ad avere molti dubbi sull’esito dell’operazione, ma non voleva cominciare la sua presidenza respingendo un progetto che era stato concepito dal suo predecessore ed era approvato sia dalla Cia che dai capi di Stato maggiore. Su un punto, tuttavia, fu straordinariamente fermo. Quando le cose volsero al peggio, Kennedy rifiutò di utilizzare l’aviazione americana e di trasformare la spedizione in una guerra degli Stati Uniti. Preferì accettare la responsabilità dell’intera vicenda, ma chiudere rapidamente il brutto capitolo di un’avventura sbagliata. Il modo in cui seppe affrontare, un anno dopo, la crisi dei missili cubani, contribuì ad appannare nella memoria del mondo il ricordo della Baia dei porci.
Sergio Romano