Armando Torno, Corriere della Sera 21/04/2011, 21 aprile 2011
DIGIUNO E CONFESSIONE. I RITI NEI GIORNI DELLA PASSIONE
Quanti sono i cattolici non praticanti? Coloro che vivono la loro fede lontano dalle celebrazioni liturgiche delle chiese? Oggi è giovedì santo e vorremmo invitarli ad alcune riflessioni per la Pasqua, giorno che per i cristiani rappresenta la risurrezione di Cristo. Diremo loro innanzitutto che, anche se hanno deciso di non prendere parte ai diversi momenti della liturgia, potrebbero rileggere i precetti generali della Chiesa (sono cinque e vennero definiti un secolo fa, al tempo di papa Pio X). Tra essi, due invitano a confessare i propri peccati una volta l’anno— oggi tale sacramento è detto della «riconciliazione » — e a ricevere l’Eucarestia almeno a Pasqua. Si troverebbero poi dinanzi un’altra richiesta: un giorno di magro e digiuno il venerdì santo, il che equivale a consumare un solo pasto completo. Certo, detto in un periodo come il nostro che ha idolatrato le diete e coloro che dimagriscono ricevono i complimenti dal prossimo, non sembrerebbe un grande sacrifico. Ma questa astensione dalla carne ha valore simbolico. Poi il credente lontano dalle pratiche potrebbe scegliere di ritornare con le proprie emozioni in una delle liturgie che preparano alla morte e alla risurrezione di Cristo. Magari anche riascoltare la Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach, per rendersi conto attraverso armonie immortali di quanto è avvenuto in queste ore (la musica più straziante, però, a nostro giudizio, Bach la scrisse per la Passione secondo Giovanni). O forse riuscirà a seguire semplicemente con il pensiero le diverse celebrazioni e, in tal modo, ricostruirà momento dopo momento gli avvenimenti che colpiscono Gesù. La prima di esse è qualcosa che lo rimanda alla Chiesa, ad antiche tradizioni: proprio questa mattina— siamo nel giorno di giovedì santo— nelle chiese cattedrali si celebra con il vescovo la messa crismale. È così detta perché in essa vengono consacrati tutti gli olii che saranno poi utilizzati per i sacramenti lungo l’anno. Dall’olio dei catecumeni a quello degli infermi, dall’olio per la confermazione a quello per le ordinazioni. È momento carico di significati, che si consuma diverse ore prima dell’addio di Gesù nel Cenacolo. Questa sera, invece, una messa ricorda appunto la cena del Signore con i discepoli. Leonardo la dipinse con mille accorgimenti e ogni gesto delle figure trabocca di significati. È il momento in cui Gesù spezza il pane dicendo che è il suo corpo e invita a bere il calice del suo sangue. Nel rito ambrosiano si legge il profeta Giona, mentre in quello romano si sceglie la legislazione pasquale (dal libro dell’Esodo, 12). La lavanda dei piedi, che richiama il racconto di Giovanni (13, 1-15), è inserita nella liturgia di rito romano e, dopo il vangelo, si evoca il fatto con i chierichetti o con altri scelti per la bisogna; nel rito ambrosiano, invece, il gesto con l’acqua solitamente si svolge a parte, a volte prima della messa. Anche i non credenti restano colpiti da quanto avviene il venerdì santo. Forse perché hanno ascoltato Le sette ultime parole di Cristo sulla Croce di Haydn, o magari perché hanno pensato intensamente a Dio che tocca il nulla. Alle 15 nelle chiese si ricorda la morte sulla croce di Gesù (o alla sera, per ragioni pastorali). È una liturgia della parola con testi di Isaia e con il racconto di quanto avvenne sul Golgota tratto dai vangeli. A questo segue l’adorazione della croce e la grande preghiera di intercessione (si prega anche per i non cristiani). Alla sera in molte chiese si può partecipare a una via crucis, che è pratica di pietà popolare, e questo può avvenire anche per le vie di un borgo o di una città. Il papa tradizionalmente partecipa a quella che si svolge al Colosseo. E altra usanza popolare, soprattutto vissuta come itinerario di meditazione, resta la visita ai sepolcri. Per la sera di venerdì il rito ambrosiano suggerisce una celebrazione «nella deposizione del Signore» , con letture dal libro di Daniele e la memoria dell’avvenimento tratta dal vangelo di Matteo (è quanto ha fatto Giuseppe d’Arimatea). Questo momento è un ossequio alla tradizione dei primi secoli della Chiesa di Gerusalemme. Sabato santo, mattina. Il rito ambrosiano prevede una celebrazione (senza eucarestia) che prepara alle prossime ore con la lettura del diluvio e il brano evangelico dell’invio delle guardie al sepolcro. Alla sera, sconfinando nella notte, inizia la grande veglia in cui si celebra l’intera storia della salvezza e si annuncia la risurrezione. La liturgia osserva un grande silenzio tra la morte del Signore e la sua resurrezione. L’eucarestia viene celebrata l’ultima volta il giovedì sera e poi, appunto, nella veglia di Pasqua.
Armando Torno