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 2011  aprile 17 Domenica calendario

LA RAI, GLI ANTI CAV E IL SILENZIO DI MASI

Titola a tutta pagina il Giornale: «La Rai degli anti Cav ci costa 35 milioni l’anno» . E via con «le cifre dello scandalo» . Annozero costa 7 milioni per 33 puntate; Che tempo che fa 10,4 milioni per 65 puntate; In mezz’ora 780 mila per 30 puntate; Ballarò 4,1 milioni per 43 puntate; Vieni via con me 2,8 milioni per 4 puntate; Parla con me 7,8 milioni per 115 puntate; Report 2,2 milioni per 20 puntate. Sono costi pieni, comprensivi dei compensi dei conduttori. Il quotidiano della famiglia Berlusconi li pubblica per reazione a un servizio del Fatto quotidiano che quantificava in 25 milioni i costi di Radio Londra, del prossimo programma di Vittorio Sgarbi e dello stipendio del direttore del Tg1, Augusto Minzolini. In questa polemica colpisce il silenzio di Mauro Masi. Il direttore generale non difende la reputazione della Rai, accusata da destra e da sinistra di sprecare il denaro del canone. Eppure, un capoazienda che si rispetti dovrebbe chiarire almeno due punti. Primo, eccitare lo sdegno popolare sui costi non ha molto senso se non li si commisura ai risultati, a cominciare dagli ascolti. Pur non frequentando gli uffici di viale Mazzini, mi è bastata una telefonata di sabato per sapere che Ballarò costa 17 centesimi di euro per contattare mille ascoltatori, Che tempo che fa 64 centesimi, Report 33 centesimi, Parla con me 1,38 euro. Annozero oscillerebbe sui 25 centesimi. Degli altri non sono riuscito a sapere. Dell’editoriale giornaliero di Giuliano Ferrara si potrebbe dire che l’esordio deludente, ove si consolidasse, danneggerebbe i conti di Rai 1. Ma magari migliorerà. Masi comunque sa tutto di tutti. Dica, aggiunga, corregga. Non rivelerebbe nessun segreto aziendale a Mediaset, dato che gli ascolti li rileva l’Auditel e i costi già li pubblica il quotidiano amico di colui al quale deve la poltrona. Certo è che i costi contatto degli anti Cav, magari discutibili nei contenuti, sono bassi. Un editore normale festeggerebbe. Il servizio pubblico radiotelevisivo non è solo un’azienda, ma è anche un’azienda. Masi vi è stato paracadutato senza mai aver guidato prima un’impresa. E tuttavia anche lui saprà che il bilancio è una partita doppia: ai costi corrispondono i ricavi. Un capo che ama la sua azienda lo dovrebbe ricordare a quanti ricamano sui soli costi. E questo è il secondo punto. La Rai riceve dal canone il 53%dei ricavi, più o meno un terzo è pubblicità, il resto contratti commerciali con Stato e privati. Mi dicono che Milena Gabanelli raccolga spot per oltre 4,5 milioni; Fabio Fazio per oltre 17 milioni; Giovanni Floris per 7,7 milioni; Michele Santoro per una decina. Masi potrà aggiungere e precisare. E magari spiegare perché la Sipra ha continuato a vendere la pubblicità di Vieni via con me ipotizzando un’audience del 16%anche dopo la prima, trionfale puntata, quando il programma faceva il doppio. Crede che Giuliano Adreani, il gran capo della pubblicità del Biscione, avrebbe fatto altrettanto? Forse è da ingenui porla in questi termini aziendalistici. Ma un po’ di evangelica ingenuità serve a pensare la Rai oltre il conflitto d’interessi del suo azionista di riferimento.