LUIGI GRASSIA, La Stampa 20/4/2011, 20 aprile 2011
Odissea segreta nell’Atlantico - Per quanto tempo può sparire sott’acqua un sottomarino nucleare? Tre mesi (il periodo di missione tipico della classe Ohio della Us Navy)
Odissea segreta nell’Atlantico - Per quanto tempo può sparire sott’acqua un sottomarino nucleare? Tre mesi (il periodo di missione tipico della classe Ohio della Us Navy). E per quanto tempo, invece, può farlo una tartaruga di mare? Molto ma molto di più. Per esempio, le femmine di una specie grossa e potente come la «Dermochelys coriacea» - in italiano, «tartaruga liuto» - quando lasciano le coste dopo essersi riprodotte, puntano verso il mare aperto e vi nuotano o galleggiano per 2 o 3 anni, senza più toccare terra fino alla stagione degli amori successiva. Ma dove vanno di preciso, in tutto questo tempo? Forse nuotano più o meno in tondo, in acque non troppo lontane da quelle del luogo di nascita, come potrebbe suggerire il regolare ritorno sempre alla stessa spiaggia? O, invece, vanno a esplorare acque remote? Se avete visto qualche documentario naturalistico sull’argomento, vi sarete fatti una cultura sulla breve fase terrestre (la più facilmente filmabile) della vita delle tartarughe marine. Ma nel preciso momento in cui questi rettili corazzati si allontanano fra le onde, c’è regolarmente una dissolvenza, e la voce fuori campo spiega che qui cominciano anni di mistero assoluto. Impossibile seguire le tartarughe in acqua, se non per un breve tratto, e poi addio. Beh, in realtà non è impossibile. Continuiamo a non conoscere le rotte di molte specie, ma della maestosa tartaruga liuto del Sud Atlantico le abbiamo appena scoperte con certezza. Finora, grazie a trasmettitori collocati sugli animali avevamo seguito via satellite i movimenti in mare di pochi esemplari, e solo per breve tempo, lungo le coste dell’America Latina. Ma ora conosciamo le prestazioni natatorie prodigiose delle tartarughe liuto che si riproducono sulle coste del Gabon, una popolazione di circa 40 mila animali. Gli zoologi del Centro per l’ecologia dell’università di Exeter (in Gran Bretagna) hanno seguito via satellite 25 femmine nell’Atlantico tra il 2006 e il 2010, ognuna per un periodo di sei mesi (quanto dura la batteria del trasmettitore). Viaggi strepitosi fra il Gabon, la costa africana occidentale, il Brasile, l’estuario del Rio de la Plata, il Sud Africa e ancora il Gabon, con deviazioni verso le isole di Ascensione e di Sant’Elena in mezzo all’Oceano, tanto per fare una gita fuori porta e variare lo schema. Una singola tartaruga nei 6 mesi di osservazione ha nuotato per più di 8 mila chilometri; non c’è prova che abbia proseguito così per tutti i tre anni della vacanza dalla riproduzione, ma se lo ha fatto la sua odissea ha sfiorato i 50 mila chilometri. Del resto, non avendo altri impegni, e potendosi comodamente nutrire strada facendo, e fermarsi a riposare galleggiando in qualunque momento vi prenda l’abbiocco, che problema dovrebbe mai esserci? Intendiamoci, la tartaruga liuto mangia schifezze (dal nostro punto di vista). La sua dieta è fatta soprattutto di meduse e solo occasionalmente di pesci, crostacei ed echinodermi. Ma per lei anche le meduse sono gustose e ne trova dappertutto. Ha bisogno di ingurgitarne molte per nutrire la sua mole. La «Dermochelys coriacea» è la più grande delle tartarughe marine: può superare i 2 metri di lunghezza e i 600 chili di peso. Da quel potente sottomarino che è, riesce a immergersi (trattenendo il fiato, essendo un rettile) fino a 200 metri. Se molestata, la «coriacea» può diventare aggressiva. I piccoli escono dal guscio lunghi appena 5 o 6 centimetri, il loro peso medio è di 3 grammi e mezzo. Le uova vengono depositate a notte fonda, al principio dell’estate. Una femmina è in grado di scaricarne fra le 50 e le 150 ogni volta, in buche profonde anche più di un metro, scavate appositamente dalla futura madre, usando le zampe come pale, e poi ricoperte di sabbia da lei stessa, per ripararle dai predatori di cui pullulano le spiagge (soprattutto uccelli marini). Dopo 50-70 giorni nascono i piccoli, che si dirigono immediatamente verso l’acqua, ma pagano un tributo altissimo a questa loro prima corsa, che per quasi tutti è anche l’ultima, visto che finiscono in massa mangiati dai predatori. Una piccola quota raggiunge il mare e a quel punto il più è fatto: lì non è che siano tutte rose e fiori, ma ci sono meno pericoli o se non altro le tartarughine, con la loro capacità di nuotatrici, sanno sfuggire ai predatori con una notevole abilità. E crescendo diventano micidiali predatrici a loro volta. Le rotte nell’Oceano non sono l’unico mistero sulle tartarughe liuto. C’è anche il fatto che vanno soggette ad ampie fluttuazioni numeriche senza spiegazione apparente. Al momento quelle dell’Atlantico sono in buona salute come specie, mentre quelle del Pacifico hanno subìto un tracollo dal quale, da molti anni, non si sono riprese. È facile sospettare che vi abbia parte l’uomo, però le circostanze (pesca, inquinamento ecceteras) non sembrano così diverse nei due oceani. «Conoscere meglio le tartarughe marine - dice il professor Matthew Witt, dell’università di Exeter - ci permetterà, forse, di aiutarle a sopravvivere».