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 2011  aprile 20 Mercoledì calendario

“Viva l’America che assume” - Rolando ha poco più di 40 anni, la cravatta a strisce blu e rosse sulla camicia violetta button down, lo sguardo raggiante sotto un taglio di capelli ordinato, da manager

“Viva l’America che assume” - Rolando ha poco più di 40 anni, la cravatta a strisce blu e rosse sulla camicia violetta button down, lo sguardo raggiante sotto un taglio di capelli ordinato, da manager. Lo è, infatti, perché guida le operazioni al McDonald’s sulla Terza Avenue e 103ª Strada, a Spanish Harlem. Oggi è una giornata di pubblica consacrazione per chi ha fatto carriera nella regina del fast food: oltre il 50% dei padroni dei locali e dei manager ha cominciato dal livello più basso. Rolando è in sede dalle 7. Ha riservato un’area vicina all’ingresso, linda e accogliente e contornata dai palloncini rossi e gialli che sono la bandiera della casa, a chi si presenta per compilare i moduli della speranza. E lui è lì, con l’assistente Maria, pronto a vedere uno per uno i candidati in cerca di lavoro che si presenteranno nel suo locale, nell’ambito del National Hiring Day, il primo giorno nazionale delle assunzioni mai organizzato dalla società: 50mila posti in una botta sola, importanti anche per una azienda con 1,7 milioni di addetti. Deve vendere una storia di successo, la propria, a un pubblico accomunato dal desiderio di una paga oraria, subito, ma variegato per sogni ed aspirazioni. Se Rolando ha già vinto in poche ore la sua missione - per la decina di posizioni aperte in questa sede abbiamo registrato almeno una trentina di domande entro le 10 - gli applicants hanno appena cominciato il loro viaggio. «Mi hanno promesso che si faranno vivi entro una settimana», dice al termine del colloquio Keiko, sul marciapiede appena fuori del locale. Rolando è arrivato dal Guatemala nel 1987, ha fatto il lavapavimenti in un restaurant di McDonald’s a Downtown Manhattan, dalle parti di Wall Street. E poi è salito nella scala delle posizioni, da membro dello staff a manager del turno, a manager del dipartimento, a general manager del locale. E anche in città è risalito, da Downtown ad Uptown, fino ad Harlem. Forse è anche il sogno degli aspiranti. La prima è Keiko: a proposito di globalizzazione e di lavori che un Paese ruba ad un altro, la ragazza è spagnola, di Barcellona, e vive nel Bronx. Ha 17 anni e si è iscritta al College di Utica, nello Stato di New York, dove conta di specializzarsi in arte grafica o architettura. Primo lavoro? «Se ce la faccio, sì». E preferenze di mansioni ne hai? «Se becco un posto, mi prendo quel posto». È l’esperanto del lavoro, con l’entusiasmo dei più giovani. Chris, 32 anni, afro-americano che vive qui vicino, è molto più scettico. Esce con il modulo ancora bianco. «Ci devo pensare... io farei di tutto, ma non dove si tocca il cash. Normalmente io ci mangio, qui. A te piace McDonald’s?». «No way, nessuna intenzione di proseguire qui, se mi prendono», dice Tatiana, riccioli neri, afro-americana di 17 anni. Sta finendo il liceo a Brooklyn, sa già che andrà in settembre al College Spellman, in Georgia. «Mi piace mangiare da McDonald’s, vorrei essere assunta, ma studierò legge, farò l’avvocato». Minuta, incappucciata, nera, Denise ha 24 anni e dice «chissà» alla domanda sulla carriera da Mac. Viene da Brooklyn, dove è nata, e ha un diploma in Business and Management alla Global Institution, sulla 125ª strada. « I’m lovin’ it », scherza usando lo slogan di McDonald’s quando le chiedo se le piace. «Ho fatto il cuoco nei Queens, ma abito da queste parti», dice Alvin, ispanico di 22 anni, diplomato in un liceo cittadino senza ambizioni di college. «Questa è una buona opportunità di lavoro, speriamo bene». Anche Christine è ispanica, ha 20 anni e ha già lavorato in un supermercato. Studia in un istituto professionale e «no, non penso a un posto fisso qui, lo prenderei solo come impiego temporaneo». Sulla Sesta Avenue, tra la 46ª e la 47ª, c’è il McDonald’s che la società ha designato come punto di raccolta dei giornalisti. Le posizioni aperte sono cinque, spiegano i due padroni del locale, Elaine e Bill Diekmann, nonni tedeschi e una vita con McDonald’s: lui, 57 anni, ha iniziato dal lavoro più umile 40 anni fa mentre faceva il liceo a San Diego; lei, 55 anni, è nel business da 37, da quando era in college. Sposatisi nel 1976, i due hanno scalato lo scalabile, e nel 1992 sono venuti a New York per comprare il loro primo ristorante: ora, con quello di Midtown, ne hanno un secondo a Chelsea. Carriere miraggio per Abdullah Almanun, 38 anni, dal Bangladesh, che ha appena compilato il modulo: «Lavoro da Dunkin’ Donuts (catena di caffè e dolci ndr ) per 7,25 dollari all’ora, e sono qui perché pagano di più, mi hanno detto (in media 8,30, ndr ). Ho scelto di venire a Manhattan perché è una città, a Brooklyn vivo con moglie e figlio, ma è un villaggio».