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 2011  aprile 19 Martedì calendario

Il tempo ritrovato nella capanna dell’eroe del Polo - Fossimo sopravvissuti avrei avuto per voi una racconto sull’ardimento, la resistenza e il coraggio dei miei compagni che avrebbe commosso il cuore di ogni britannico»

Il tempo ritrovato nella capanna dell’eroe del Polo - Fossimo sopravvissuti avrei avuto per voi una racconto sull’ardimento, la resistenza e il coraggio dei miei compagni che avrebbe commosso il cuore di ogni britannico». - Dal diario di Robert Falcon Scott, esploratore e marinaio. Cape Evans, sull’isola di Ross, è un posto a metà strada tra la fine del mondo e la leggenda che appartiene ai neozelandesi. Non sono stati loro a farci la storia. Però ne hanno recuperato una parte esattamente cent’anni dopo. Quel pezzo è la Capanna di Scott, il quartiere generale dei marinai del Terranova da cui nell’autunno del 1911 partì la spedizione inglese per il Polo Sud. Non c’era mai riuscito nessuno. Scott, assieme a quattro uomini, lasciò la Capanna l’11 ottobre, sapendo che in quelle ore anche Roald Engelbert Gravning Amundsen cercava la stessa impresa. Arrivò prima il norvegese con i suoi cani da slitta, anticipandolo di 35 giorni. Piantò la bandiera e rientrò a casa sano e salvo. Scott non ce la fece. Morì sulla via del ritorno, sorpreso dalla tormenta, assieme ai suoi compagni e ai pony della Manciuria che trascinavano il cibo e le tende. Un eroe o uno sconfitto? La Capanna di legno è rimasta abbandonata per novant’anni, finché gli scienziati dell’Antarctic Heritage Trust hanno deciso di ridarle vita e di salvare i diecimila oggetti custoditi all’interno. Una miniera di informazioni che il ghiaccio e il vento stavano lentamente distruggendo. Hanno investito quattro milioni di dollari e oltre tremila giorni, ma ne hanno fatto un tempio al coraggio di cento metri quadrati. Ogni singolo dettaglio è originale. Per visitarlo ci vogliono dei permessi speciali. Ma il risultato è straordinario. Un cartello giallo piantato davanti alla porta segnala che Londra è 17.039 chilometri più in là. Guardando a sinistra si vede il ghiacciaio di Barnes e nei giorni buoni è facile incontrare i pinguini. «La Capanna era ancora funzionale. Nei giorni in cui l’abbiamo recuperata ci siamo spesso riparati dalle tempeste all’interno. L’avevano studiata con criterio», racconta Nigel Watson, studioso dell’Heritage Trust. Appena entrati si accede a una camera di decompressione e più avanti, sulla sinistra, ci sono le stalle che ospitavano i 17 pony. Poi uno spazio destinato ai 33 cani da slitta. Animali magnifici, che nessuno sapeva condurre. Nell’aria c’è un odore pungente di grasso di foca, usato come combustibile per il riscaldamento e la luce filtra debolmente attraverso i vetri delle finestrelle. I 125 membri della spedizione vivevano in uno stanzone riempito con i letti a castello e con una serie di scaffali per i viveri e gli oggetti di uso quotidiano. Ci sono la cucina, le stoviglie, la stufa. E persino un’incomprensibile trappola per topi ritrovata nella borsa dei medicinali. L’idea era quella di rendere gli spazi consolanti e domestici come il bacio di una madre. «Avevano liquori e cioccolata. Cibo di prima qualità e attrezzature scientifiche di alto livello. Neanche oggi è facile sopravvivere da queste parti. Nel 1911 era quasi impossibile». Gli unici due ad avere una propria piccola stanza erano Robert Falcon Scott e il fotografo Ernest Ponting, che aveva chiesto uno spazio per fare la camera oscura. Le suo foto in bianco e nero restituiscono l’immagine di un salone pavesato a festa, pieno di bandiere di San Giorgio. Scott stava a capo tavola e ogni giorno scriveva il diario. Nato da una famiglia modesta, si era convinto che la sua unica possibilità fosse quella di tradurre in azioni un proposito di vita decente. Sua moglie, Kathleen Bruce, era una donna dalla bellezza spigolosa. Pochi mesi prima della partenza per l’isola di Ross avevano avuto un figlio. Per lo scrittore Roland Huntford, autore di un contestatissimo saggio, il Capitano non era altro che un perdente. «Portò alla morte il suo gruppo e perse la vita lui stesso. Per altro arrivando al Polo Sud per secondo». Eppure Scott in Inghilterra resta un’icona venerata e l’università di Cambridge considera i suoi studi sul clima e le sue carte di valore inestimabile. «I più importanti della prima metà del Novecento». Certamente era un uomo partito per un viaggio destinato alla follia o al paradiso, consapevole che sono i desideri in vasta scala a fare la storia. Adesso una parte della sua vita è un inestimabile monumento sul pak.