Massimo Sideri, Corriere della Sera 19/04/2011, 19 aprile 2011
DUEMILA PARTI CIVILI RESTANO A MANI VUOTE DOPO IL VERDETTO —
Con il senno di poi si possono subito tirare due conclusioni sulla sentenza con cui ieri il tribunale di Milano ha assolto banche e banchieri nel processo bis sul reato di aggiotaggio nel crac Parmalat: primo che i circa 40 mila risparmiatori, che si erano costituti parte civile nel processo e che ne erano usciti anticipatamente riscuotendo rimborsi fino al 35%del loro investimento, erano stati lungimiranti. Ieri quelle stesse persone di fronte alle stesse banche con lo stesso identico caso sarebbero rimaste con un pugno di mosche in mano. Un destino che infatti è toccato ai restanti 2 mila ex obbligazionisti dell’ex impero del «latte Uht» di Calisto Tanzi che, pur essendo parti civili, non avevano accettato quelle transazioni milionarie. Secondo, che l’aggiotaggio si riconferma essere un reato ostico per i risparmiatori. In attesa delle motivazioni con cui i giudici della seconda sezione penale del Tribunale, presieduti da Gabriella Manfrin, hanno deciso l’assoluzione, quello che si può dire è che la formula «per non aver commesso il fatto» , lascia spazio all’amarezza. In soldoni il fatto— cioè l’aggiotaggio con comunicati falsi finalizzati a nascondere il reale stato di salute claudicante della società — ci sarebbe stato. Ma, o non è stato possibile individuarne le responsabilità oppure per i giudici a risponderne deve essere solo l’emittente, cioè la Parmalat stessa. Nella sostanza è l’epilogo di ogni processo penale su questa ipotesi di reato che, secondo alcuni esperti, andrebbe più pragmaticamente cancellata riequilibrando la partita con maggiori poteri di sanzione affidati alla Consob in rappresentanza del mercato. I consumatori presenti in aula hanno in ogni caso gridato allo «scandalo» dichiarando «vergognosa» la sentenza. Tutto mentre gli avvocati delle parti festeggiavano come allo stadio. I risparmiatori di classe A Con la sentenza comunque si stratifica ancora di più la famiglia dei risparmiatori del «buco» Parmalat. Quelli di classe «A» sono appunto coloro che avevano firmato le transazioni con le banche coinvolte nel processo milanese. Unendo il 35%recuperato grazie all’operato dell’avvocato Carlo Federico Grosso — alla guida del Comitato ex clienti Sanpaolo — all’andamento in Borsa delle azioni ricevute con il concambio al posto dei Tanzi-bond finiti in fumo, la percentuale di ristoro raggiunge il 70%. Un risultato che, come ha ricordato Grosso ieri, non ha eguali nelle storie dei grandi crac. In questa famiglia rientrano sia i circa 30 mila da lui rappresentati sia gli 8 mila rappresentati nel processo dalle associazioni dei risparmiatori. I risparmiatori di classe B Una sottoclasse di questo gruppo è formata dai circa 2 mila che non avevano accettato le transazioni. La loro speranza era quella di accedere, con una eventuale sentenza di colpevolezza, ai risarcimenti che il giudice d’appello avrebbe potuto confermare anche con la prescrizione del reato ormai alle porte. Mancano infatti poche settimane al termine previsto per la prescrizione dell’aggiotaggio, un elemento che rende anche complicato l’eventuale ricorso da parte della Procura. «Questi risparmiatori sono stati iscritti come parti civili al processo di Parma dove le condotte sono completamente diverse» spiega Grosso. E dunque qualche «possibilità di recupero potrebbe venire da una sentenza in quel processo» che rimane il principale dato che il reato è la bancarotta della società di Collecchio. I risparmiatori di classe C È la classe fantasma, quella senza volto perché rimasta parcellizzata. Bankitalia fin dall’inizio del crac alla fine del 2003 aveva calcolato in circa 120 mila gli obbligazionisti. Per sottrazione con le parti civili, dunque, restano circa 80 mila risparmiatori che hanno avuto le azioni e i warrant con il piano di Enrico Bondi. Per loro i processi sono rimasti un evento esterno o perché rappresentati da alcune associazioni dei risparmiatori che non erano state accettate dai giudici o perché, non essendo clienti del Sanpaolo, non avevano potuto beneficiare della struttura del comitato seguito da Grosso. Per loro, oltre al ricavato della vendita delle azioni e dei warrant, non resta che la strada molto teorica di un processo per via civile che potrebbe prendere spunto da una condanna penale a Parma purché definitiva. «Ma — spiega Grosso — le probabilità sono quasi nulle. Il processo a Parma è ancora quello di primo grado e sono passati sette anni. La prescrizione per bancarotta è di 15 anni ma bisognerebbe arrivare alla sentenza definitiva. E comunque dopo ci vorrebbe un nuovo processo civile completo» . A Milano per questa classe «C» non è cambiato nulla: anche in caso di condanna i reati sarebbero finiti in prescrizione nelle prossime settimane. E dunque anche con un appello non avrebbero potuto sperare in un iter civile successivo. Restano da valutare le motivazioni della sentenza, perché se i giudizi hanno ravvisato una responsabilità, per quanto terza, nell’aggiotaggio si potrebbe procedere in via civile per il danno morale. Ma per gli esperti anche questa resta un’ipotesi da manuale.
Massimo Sideri