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 2011  aprile 20 Mercoledì calendario

ATTENTI, NON SIAMO ANCORA FUORI

L’annuncio del declassamento del rating a lungo termine del debito sovrano americano da stabile a negativo ricorda a tutti noi qualcosa di fondamentale: l’economia mondiale non è indirizzata sulla strada della stabilità. Al contrario: per adottare una frase che il premier cinese Wen Jiabao spesso applica al proprio Paese, l’economia mondiale è «incostante, squilibrata, non coordinata e insostenibile». Lo stato dei conti pubblici degli Stati Uniti è solo uno fra i tanti pericoli, e non certo il maggiore.

Probabilmente non sembra così evidente se si guarda l’ultimo World Economic Outlook dell’Fmi. A livello globale le previsioni sono le stesse che a gennaio: un robusto 4,4% di crescita nel 2011 e un 4,5% nel 2012. Anche tenendo conto dei tassi di cambio, è prevista una crescita rispettivamente del 3,5 e del 3,7 per cento. Il volume degli scambi a livello mondiale secondo le previsioni dovrebbe crescere quest’anno del 7,4%, e nel 2012 del 6,9%, dopo la ripresa post-crisi del 2010 (12,4%). Anche l’inflazione secondo le previsioni dovrebbe restare ragionevolmente sotto controllo, con un aumento dei prezzi al consumo del 2,2% nel 2011 e dell’1,7% nel 2012 nelle economie avanzate. Perfino nei Paesi emergenti l’inflazione dovrebbe calare, dal 6,9% di quest’anno al 5,3 nel 2012.

È un’epoca di grande trasformazione, ma è anche un’epoca di grande incertezza. Il Global Financial Stability Report dell’Fmi si apre con l’azzardata affermazione che «i rischi per la stabilità finanziaria globale sono diminuiti» da ottobre 2010 a oggi. La fiducia in effetti è cresciuta, ma è una cosa ben diversa.

Primo, i Paesi avanzati non sono assolutamente tornati alla normalità: i disavanzi di bilancio rimangono elevatissimi; la politica monetaria continua a essere improntata a tassi d’interesse bassi; il settore finanziario è fragile, specialmente nella zona euro; la crescita del credito negli Usa e nella zona euro è molto lenta; in molti Paesi, compresi Usa e Gran Bretagna, le famiglie sono ancora pesantemente indebitate; nella zona euro c’è la possibilità che alcuni Stati vadano in default o che alcune banche vadano in bancarotta, o entrambe le cose. Per giunta, nonostante le ingenti misure di stimolo, monetarie e di bilancio messe in campo, secondo le previsioni la ripresa in questi Paesi sarà ancora anemica.

Secondo, se da un lato i Paesi avanzati segnano il passo, dall’altro molte economie emergenti soffrono gli effetti di un’eccessiva espansione del credito e di un surriscaldamento dell’economia.

Terzo, ci sono interazioni complesse e inquietanti tra i due versanti della linea di faglia che divide l’economia mondiale. Una viene dall’emergere di un boom dei prezzi delle materie prime, che contribuisce a un’inflazione alta nelle economie emergenti e a una stagflazione nei Paesi avanzati. Il risultato è che cresce la pressione per un irrigidimento della politica monetaria. Se esistesse una Banca centrale globale potrebbe dare un drastico giro di vite alla politica monetaria, ma una risposta del genere a una variazione dei prezzi relativi farebbe calare altri prezzi in termini nominali, salari inclusi. Quel che è certo è che l’aumento dei prezzi delle materie prime mette sotto pressione la politica monetaria in qualunque Paese.

Un’altra interazione è quella che viene dai flussi di capitale in entrata e dalla conseguente pressione al rialzo sul tasso di cambio nei Paesi emergenti. L’irrigidimento della politica monetaria accresce questa pressione. Ma gli effetti sul cambio non sono gli stessi ovunque, considerando che la Cina riesce a gestire il suo tasso di cambio con estrema efficacia. Molti Paesi temono che con un apprezzamento della loro valuta e un consistente disavanzo delle partite correnti, le loro economie diventerebbero più vulnerabili ai cambiamenti della politica monetaria americana. L’Fmi afferma che «i controlli di capitale probabilmente sono l’unico strumento a disposizione delle autorità sul breve periodo». Ma difficilmente un’economia aperta sarà in grado di utilizzarli con la stessa efficacia con cui li utilizza la Cina.

Last but not least, c’è il problema, collegato, di riportare in equilibrio la domanda globale. Nonostante i problemi di surriscaldamento in una serie di Paesi emergenti, l’Fmi giunge alla conclusione che il riequilibrio è bloccato. Come osserva sempre il Fondo, le conseguenze negative sulla domanda del risanamento dei conti pubblici nei Paesi ad alto reddito devono essere parzialmente compensate da un incremento delle esportazioni. Sfortunatamente, osserva, «una parte sproporzionata del peso del riequilibrio della domanda è ricaduto, fin dall’inizio della crisi, su economie che non registrano surplus consistenti nel saldo con l’estero, ma che attirano flussi in ingresso perché hanno mercati di capitali aperti e sviluppati». Questo riequilibrio - limitato e dannoso - accresce notevolmente i rischi di ulteriori shock finanziari.

Complessivamente, le autorità devono far fronte a una serie di sfide complesse e interconnesse: la normalizzazione delle finanze pubbliche e della politica monetaria nei Paesi avanzati; la risoluzione del problema dell’eccesso di debito e della fragilità finanziaria in quelle economie; la gestione del surriscaldamento dell’economia nei Paesi emergenti; l’adeguamento a consistenti variazioni dei prezzi relativi; il riequilibrio dell’intero schema della domanda globale. In tutto quello che succede attualmente non c’è nulla che induca a ritenere che una qualunque di queste sfide sarà gestita in modo competente, e tantomeno in modo agevole. Per farla breve, chi pensa che siamo alla fine dei nostri patimenti inganna se stesso. Ci aspettano altri scossoni.

(Traduzione di Fabio Galimberti)