Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  aprile 17 Domenica calendario

COME MISURARE IL BENESSERE

Basta il Pil (Prodotto interno lordo) per misurare il nostro benessere? Per rac­contare lo stato di salute di una na­zione? Quel Pil che quando cresce abbastan­za ci induce all’ottimismo, ma se arranca ci fa precipitare nell’umor cupo? Da tempo stu­diosi e politici, in tutto il mondo, avvertono il bisogno di trovare al Pil un partner. Nuovi in­dicatori capaci di descrivere situazioni sem­pre più complesse... Una particolare congiuntura, appunto, si sta verificando rispetto alle analisi sullo svilup­po umano, a livello mondiale e dei singoli pae­si. Da un lato si vorrebbe aver la sfera di cri­stallo per prevedere gli andamenti futuri, mentre siamo continuamente sorpresi da av­venimenti ed esiti che non avevamo imma­ginato. Da un altro lato si ha la sensazione, soprattutto in al­cuni paesi come l’Italia, che i tradi­zionali strumenti di misurazione dello sviluppo sia­no quanto meno insufficienti, se non addirittura fuorvianti, e che ci sia bisogno di tro­varne di nuovi e migliori. E la Com­missione Stiglitz­ Sen-Fitoussi (dai nomi dei due pre­mi Nobel per l’e­conomia, Joseph Eugene Stiglitz attualmen­te alla Columbia University, e Amartya Sen, e­conomista indiano della Harvard University, e dell’economista francese Jean Paul Fitous­si della Scuola di studi Politici di Parigi, in qua­lità di coordinatore) si è occupata proprio di questo, su incarico del governo francese, tra 2008 e 2009. Ci si domanda un po’ tutti, in so­stanza, che cosa conti di più, se lo sviluppo e­conomico e gli equilibri finanziari, o piutto­sto il benessere e la qualità della vita, per ca­pire e giudicare una collettività regionale o nazionale. E soprattutto ci si interroga sulle componenti dello sviluppo e del progresso delle nazioni, al di là dei fattori economici e produttivi, solitamente utilizzati come misu­razione quasi unica. Ne è nato un processo, al di là degli esiti del­la Commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi, di spe­rimentazione di nuove misurazioni e di idea­zione di nuove ipotesi di lavoro per l’analisi delle società e delle economie, sicuramente di grande interesse, ma anche di grande ri­schio, per la difficoltà ad orientarsi tra i tanti dati prodotti. Soprattutto gli organismi inter­nazionali dei paesi più industrializzati (Ocse, Commissione Europea, Fondazione di Du­blino) si sono esercitati nel periodo più re­cente nella produzione di nuovi indicatori, dopo che l’Onu, e in particolare la sua agen­zia per lo sviluppo (Undp), avevano già pro­dotto indici sintetici di misurazione dello svi­luppo e del benessere di tipo globale, consi­derati però fino a poco tempo fa adatti più che altro al terzo e quarto mondo.

Ma cosa comporta andare oltre il Pil ed ab­bracciare la strada della misurazione della qualità sociale e del benessere largamente in­teso attraverso confronti così complessi e in­dicatori tendenzialmente abbastanza etero­genei? Guardando ad alcuni di questi nuovi dati, relativamente alla situazione italiana, si scoprono aspetti in qualche caso molto inte­ressanti, che possono aiutarci a capire le im­plicazione della rivoluzione che sta avve­nendo. Ad esempio che il catastrofismo con cui qualcuno guarda al nostro paese non è sempre giustificato. I dati più facilmente di­sponibili, più tradizionali, e anche più noti, ci rimandano il quadro negativo che ben co­nosciamo, soprattutto nel confronto con i paesi europei più grandi e con i quali l’Italia ha fondato l’Europa: crescita del prodotto in­terno lordo, debito pubblico, disoccupazio­ne, produttività ci vedono perdenti.

L’ultima elaborazione dell’Ocse ( Society at gance), che ha posto tra le priorità della pro­pria attività futura proprio lo sviluppo di nuo­ve misurazioni del progresso e della qualità della vita, mostra un confronto tra vari pae­si, nel quale l’Italia presenta come unico pun­to di forza la speranza di vita. Più in genera­le l’Italia viene spesso collocata in quel grup­po di paesi definiti del ’capitalismo infelice’ ( unhappy capitalism), insieme a Portogallo e Grecia. Ma guardando ad altri dati, emergo­no valori diversi. Per esempio collocare i fe­nomeni in un arco temporale, considerare cioè l’evoluzione nel tempo, può consolarci. Il lavoro di un esperto tedesco che opera nel Centro di Francoforte per il progresso socia­le, Stefan Bergheim, proprio sull’applicazio­ne a un certo numero di paesi degli indicato­ri proposti da Stiglitz (prodotto, speranza di vita, scolarizzazione e ambiente) nella loro e­voluzione temporale tra il 1998 ed il 2008, mo­stra performance positive per l’Italia, più che per la maggior parte degli altri grandi paesi europei (Germania, Francia, Regno Unito, ecc.). L’Italia risulta nona tra 22 paesi, per mi­glioramento, nei 10 anni considerati. Anco­ra, le rilevazioni di Eurofound (la Fondazio­ne di Dublino creata dalla Commissione eu­ropea nel 1975 per contribuire al migliora­mento delle condizioni di vita e di lavoro in Europa), effettuate sulla soddisfazione dei cit­tadini e dei lavoratori, indicano che l’Italia è il paese nel quale la soddisfazione è calata meno tra 2007 e 2010. Un’altra area nella qua­le, attraverso l’uso di nuovi indicatori, mo­striamo risultati almeno in parte lusinghieri come paese è quella della coesione sociale di tipo informale. Ad esempio il confronto tra I­talia e Germania realizzato da Heinz Herbert Noll (del Gesis di Mannheim), in termini di coesione sociale, ci vede in netto svantaggio per tutto ciò che riguarda gli indicatori di di­suguaglianza, ma in vantaggio per alcuni al­tri indicatori che riguardano le relazioni so­ciali e l’aiuto in caso di difficoltà, specie se in caso di malattia. Ancora, le elaborazioni Oc­se sui nuovi indicatori Stiglitz, come riporta­ti ad esempio dalla ricercatrice di origine ita­liana operante a Parigi presso l’Ocse, Romi­na Boarini, indicano interessanti variazioni negli esiti dei confronti per quanto riguarda, in particolare, da un lato lo stock di capitale fisico e naturale dei diversi paesi, e dall’altro le attività dette non-market, cioè quelle ri­conducibili alla sfera del sociale informale.

Questi e altri dati sono stati analizzati e di­scussi nel corso dell’ultimo incontro sul So­cial Reporting in Europa organizzato dal Ge­sis di Mannheim e dalla Fondazione romana Censis presso la Fondazione Villa Vigoni, un centro italo-tedesco per gli scambi culturali a livello europeo sul lago di Como. Certo, nul­la fa pensare che sia opportuno, possibile e conveniente dare meno importanza, da oggi in poi, ai tradizionali indicatori economici di sviluppo, per basare le analisi nazionali ed in­ternazionali prevalentemente su indicatori soggettivi e di qualità della vita. Ma va valu­tato con favore il trend in corso, di valorizza­zione crescente dei fattori umani dello svi­luppo e della qualità sociale e psicologica del­la convivenza. Questo è infatti un segnale si­gnificativo di spostamento dell’asse delle at­tenzioni e degli obiettivi delle moderne so­cietà capitalistiche verso traguardi più com­patibili con un approccio umanistico dell’e­sistenza.