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 2011  aprile 16 Sabato calendario

IL BOOM DEI SALAFITI CHE SOGNANO IL CALIFFATO

L’obiettivo è tanto ambizioso quanto irrealistico: instaurare un califfato islamico a Gaza, per poi estenderlo a tutti i Paesi musulmani. Il mezzo per conseguirlo, il jihad - la guerra santa - è rivolto non solo contro Israele, ma anche contro la stessa Hamas, il movimento islamico padrone della Striscia di Gaza dal giugno del 2007, reo ai loro occhi di aver tradito il vero Islam, essersi piegato a partecipare alle elezioni e aver sospeso la guerra santa contro Israele. Nate nell’ombra sei anni fa, quando Gerusalemme evacuò gli insediamenti di Gaza, le cellule salafite presenti nella Striscia sono cresciute anno dopo anno fino a divenire una costellazione di gruppi che vivono in clandestinità. Identificarli è difficile. Spesso cambiano il loro nome e i loro covi.

Il gruppo che ha ucciso ieri l’attivista italiano Vittorio Arrigoni, autoproclamatosi «Brigata dei valorosi compagni del profeta Muhammad bin Muslima», in ricordo del nome di una famosa battaglia, era una sigla finora sconosciuta. Ma più analisti sostengono siano membri della cellula al-Tahwid Wal-Jihad, che abbiano però agito di loro iniziativa. Al-Tahwid ha peraltro negato legami con l’assassinio di Arrigoni. Al-Tahwid Wal-Jihad è un nome noto: secondo i media israeliani nel 2006 risultò coinvolta negli attentati contro gli alberghi del Sinai, in cui morirono 19 persone. Nel 2009 lanciò contro il valico di Karni (fra Gaza e Israele) cavalli imbottiti di esplosivo.

Sono meno di dieci gli altri gruppi salafiti di Gaza finora conosciuti. Quasi tutti professano di condividere l’ideologia di al-Qaeda, precisando però di non aver contatti diretti. Se in un primo periodo Hamas sembrava tollerare la loro presenza, negli ultimi anni ha dato il via a una serie di raid per smantellare le loro basi arrestando diversi componenti. Decine di salafiti sono ancora detenuti nelle carceri di Gaza.

Jaish al-Islam (esercito dell’Islam) è uno dei gruppi che partecipò al sequestro del caporale israeliano Gilad Shalit, rapito nel giugno del 2006 e tuttora in ostaggio. Operazione concordata con Hamas, che tuttavia ingaggiò una dura battaglia contro di loro quando, nel 2007, rapirono, con la complicità del potente clan Dogmush, il corrispondente della Bbc Alan Johnston, liberato dopo 4 mesi di prigionia. Jal Jalat (Grido di guerra), è un’altra cellula, sospettata di aver bombardato diversi Internet cafè, considerati luoghi promiscui e blasfemi. Di Ansar al-Sunna si è riparlato l’anno scorso, quando ha rivendicato il lancio di un razzo che ha ucciso un cittadino israeliano. Proprio il lancio di razzi è una delle azioni più ricorrenti delle cellule salafite. Un’attività che i media israeliani sostengono sia eseguita sotto l’occhio vigile di Hamas. Che tuttavia ingaggiò una battaglia furiosa contro Jund ansar Allah, (l’esercito dei partigiani di Dio), quando, nell’agosto del 2009, da una moschea aveva proclamato «l’Emirato islamico di Rafah». Morirono 20-30 miliziani, diverse decine furono arrestati.

Pochi giorni prima, dopo essere stati bendati, avevamo incontrato tre membri della cellula salafita Kataeb el-Tawhid, costola di al-Tahwid Wal-Jihad, oggi sotto accusa. Ragazzi molto giovani. Dal loro sguardo traspariva un indottrinamento ferreo che non concede alcuna apertura. «Hamas – ci aveva spiegato il leader - ha più a cuore la sicurezza degli ebrei che quella dei palestinesi. È come Fatah. Entrambi sono nostri nemici. Così come gli sciiti libanesi di Hezbollah». La cellula fu accusata di aver orchestrato, nel giugno del 2008 a Gaza, un attentato contro l’ex presidente Usa Jimmy Carter, sventato dai servizi di Hamas. Come altri gruppi dispongono di armi rudimentali: «razzi Rpg, kalasnikov, ordigni esplosivi e mine», raccontava il giovane leader, precisando che quasi tutte le armi provengono dai tunnel a ridosso con l’Egitto.

La domanda che tutti si pongono è quanti siano realmente i combattenti salafiti di Gaza. I diretti interessati parlano di migliaia, ma l’opinione più condivisa, e credibile, è che siano solo alcune centinaia. Poca cosa rispetto ai 25mila miliziani, ben addestrati, di Hamas. Negli ultimi anni, tuttavia, si è registrata una pericolosa tendenza: decine di miliziani di Hamas (o forse ancora di più) hanno abbandonato Ezzedim el-Qassam a causa dell’atteggiamento "troppo morbido" verso Israele e si sono uniti ai salafiti. Pur ammettendolo, Hamas ha sempre ridimensionato il loro numero. E ha sempre respinto le ricorrenti voci di jihadisti stranieri - si parla di egiziani, siriani e pakistani - nelle loro fila. Eppure lo sceicco al-Saidani, noto anche come Abu Walid al-Maqdisi, il leader di Al-Tawhid Wal-Jihad di cui il gruppo che ha ucciso Arrigoni ha chiesto la liberazione, è egiziano di origine. Così come straniero era il siriano Abu Abdallah al-Suri, jihadista con contatti con al-Qaeda entrato a Gaza nel 2008 per aiutare Hamas ma che poi divorziò dal movimento per motivi ideologici. «I salafiti di Gaza? Sono quasi tutti ragazzini che vanno rieducati», ci spiegavano gli ufficiali di Hamas. La versione degli esperti israeliani è diversa: Hamas ha raggiunto un compromesso con questi gruppi: possono restare se limitano le loro operazioni contro Israele entro una certa area. Un compromesso, comunque, pericoloso.