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 2011  aprile 17 Domenica calendario

IL TEMPISMO DECISIVO DELLE PERQUISIZIONI - C’è

un evidente aspetto simbolico ed emotivo nella condanna a 16 anni e mezzo di carcere di un amministratore delegato come responsabile di morti in fabbrica. Ma la svolta costituita dalla sentenza Thyssen va oltre.
Ci sono aspetti meno simbolici e più pratici che imprese e sindacati, magistrati e avvocati da oggi dovranno tenere presenti, grazie a un salto di qualità consentito dall’ampiezza della strage torinese. Con un solo decesso, o addirittura con tre, come nel processo a carico della Saras in corso a Cagliari, sarebbe stato più complicato individuare gli elementi per arrivare a un verdetto come quello della Corte d’assise di Torino
Il primo aspetto da capire riguarda il riconoscimento del “dolo eventuale” e quindi dell’omicidio volontario. Se ne parlava da tempo per l’automobilista ubriaco, ma ancora manca la clamorosa sentenza esemplare.
Il pubblico ministero torinese Raffaele Guariniello invece ha ottenuto la sua sentenza per la morte in fabbrica, che d’ora in poi farà pendere sugli imprenditori, gli amministratori e i manager delle società una minaccia giudiziaria moltiplicata: intanto con pene così in prigione si va e ci si resta per anni, e in ogni caso basta la sola accusa a portare il caso davanti a una Corte d’assise, dove una giuria popolare può imporsi, eventualmente, sull’orientamento dei giudici toga-ti. La giurisprudenza evolve nel tempo: non ci sarà da stupirsi se la sentenza Thyssen provocherà nei prossimi anni una sorta di inflazione nelle pene, una maggiore severità dei giudici. Cavarsela con 18 mesi e la condizionale diventerà più complicato.
Il secondo punto riguarda la conduzione delle indagini. Anche su questo punto Guari-niello sembra destinato a fare scuola. Appena accaduto l’incidente alla ThyssenKrupp di Torino ha ordinato un fulmineo e massiccio sequestro di documenti negli uffici del colosso siderurgico tedesco, in varie città. In questo modo, pur essendo partiti per una “normale” inchiesta per omicidio colposo, gli inquirenti hanno inciampato quasi per caso nella mail con cui l’amministratore delegato Harald Espenhahn ha praticamente firmato la propria condanna a 16 anni e mezzo, ordinando, per un risparmio di 800 mila euro, il rinvio dell’installazione di quel sistema automatico antincendio che avrebbe salvato i sette operai. I manager dovranno dunque imparare a scrivere meno che possono, oppure a stare più attenti a quello che fanno e a calcolare bene le possibili conseguenze di ogni decisione. I magistrati dovranno imparare invece che quando c’è un morto sul lavoro bisogna catapultare la polizia giudiziaria negli uffici dell’azienda coinvolta. E anche ad accelerare al massimo gli interrogatori dei funzionari aziendali, visto che il caso Thyssen ci propone anche il caso sconcertante dei quattro testimoni che saranno perseguiti per essere stati scovati a dire il falso o a ritrattare dopo aver concertato con imputati o loro avvocati.
Infine c’è la questione della pena accessoria che esclude per sei mesi la Thyssen dalle sovvenzioni pubbliche. In un singolare teatro dell’assurdo, che vede i politici torinesi inneggiare alla sentenza esemplare e quelli umbri protestare per la sua eccessiva severità, da Terni si levano voci di protesta per una misura che sembra penalizzare, almeno in prospettiva, i lavoratori più che l’impresa. Su questo è facile prevedere una discussione molto accesa.
Con un po’ di lungimiranza si potrebbe capire facilmente che una sentenza come quella di Torino consente ai lavoratori, ai loro sindacati e anche agli stessi politici locali di pretendere più incisivi poteri di controllo e censura sulla gestione della sicurezza in fabbrica. Proprio perché in caso di incidente, oltre ai lavoratori che perdono la vita, ci sarebbero tutti gli altri che si giocano, in casi estremi, la stessa azienda.