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 2011  aprile 17 Domenica calendario

«Macché figlio di Saviano... Scrivo romanzi, non inchieste» - Ameno di ventiquattro ore dall’in­clusione in dozzina alla 65ª edi­zione del Premio Strega, Gior­gio Nisini, presentato per Fazi al «premio letterario più importan­te d’Italia» (come lo definisce lui stesso) da Giuseppe Leonelli e Massimo Onofri con il suo La città di Adamo , ha già molto da dire

«Macché figlio di Saviano... Scrivo romanzi, non inchieste» - Ameno di ventiquattro ore dall’in­clusione in dozzina alla 65ª edi­zione del Premio Strega, Gior­gio Nisini, presentato per Fazi al «premio letterario più importan­te d’Italia» (come lo definisce lui stesso) da Giuseppe Leonelli e Massimo Onofri con il suo La città di Adamo , ha già molto da dire. In primis sull’apparentamento fatto in que­ste pagine nei giorni scorsi tra il suo roman­zo e la produzione Gomorra & Affini. Nisini vuole sganciarsi dall’etichetta di«figlio di Sa­viano ». Soprattutto per poter definire il suo libro- storia di un imprenditore agricolo che scopre nel passato del padre l’amicizia con un boss della camorra e che perciò intra­prende un viaggio nella memoria che lo por­ta a interrogarsi sul potere e il fascino del ma­le­romanzo al cento per cento. Senza «con­taminazioni giornalistiche »,scorie d’inchie­sta, reflui di battaglia. Non c’è polemica nei suoi toni, semmai echi che altri definirebbe­ro anacronistici o velleitari. Perché l’appa­rentamento a un successo a volte fa di te al­meno un successino. E perché in un tempo in cui tutto è ibrido e confuso e orizzontale e antiaccademico, a chi vuoi che importi che cosa sia letteratura pura, che cosa sia narrati­va, che cosa sia uno Scrittore? A Nisini. C’è in lei un anti-Saviano che osa definir­si tale? «La mia esperienza non è paragonabile a quella Saviano. Una tessera tematica non è sufficiente. Nel mio romanzo la camorra è un pretesto per parlare del male in sé, di que­stione morale, legalità, corruzione. Temati­che che la camorra può soltanto far partire ». Esattamente quel che da anni fa Saviano: è diventato un maître­à-penser sul male, la questione morale, un guru della legali­tà. Pur essendo partito «solo» da un’in­chiesta di camorra. «Io rimango un romanziere puro, narro una storia.Mi interessano i riflessi che la ca­morra può avere nell’interiorità di un indivi­duo. Tutti nel mondo di oggi ci dichiariamo contro la camorra, poi nel nostro piccolo scendiamo a compromessi con l’illegale». Esattamente quel che Saviano dice di fa­re, sempre da anni:raccontare storie per far riflettere la gente. «Sì, ma Saviano lo fa da giornalista, io con gli strumenti della letteratura. Un binario dif­ferente ». AlloraSaviano nonè unoscrittore?Eppu­re sulla copertina di Gomorra c’è scritto «romanzo».E il film che ne hanno tratto è fiction , mica un documentario. «In termini etimologici è uno scrittore, per­ché scrive. Ma persegue una strada molto particolare, facendo denuncia civile. Ricor­do un’intervista di Sciascia dell’ 82,dieci gior­ni dopo l’uccisione del generale Dalla Chie­sa. Disse: “Trovo piuttosto fastidioso quan­do i giornalisti mi fanno domande sulla ma­fia. Io non sono un mafiologo,sono uno scrit­tore”. Sono contro le visioni manichee. Nel mio romanzo ci sono zone grigie tra legale e illegale, il camorrista è ambivalente, ipnoti­co, crea fascino. È capace di atti feroci, ma si legge la letteratura umoristica inglese. Ha ca­rica visionaria. E su chi dovrebbe rappresen­tare il bene cade l’ombra del dubbio». In effetti nei bagni di folla che circonda­no Saviano, nessuno alza mai la mano ci­tando le «zone grigie». «Ma perché Saviano fa appunto altro, un’operazione pedagogica. La domanda è: il vero scrittore deve essere impegnato civil­mente o no? Io ho un’idea di scrittura che può incidere civilmente molto di più senza educare ma analizzando. Una scrittura me­no consolante, più complessa, che mette a fuoco i buchi di coscienza, i grandi dubbi. De­litto e castigo , Edipo Re, Il mostro di Düssel­dorf : non l’orco senza possibilità di redenzio­ne, ma l’uomo che vive la propria condizio­ne criminale». Fazi appartiene a un grande gruppo co­me Gems. Sente alle sue spalle il lavorio delle grandi manovre editoriali per lo Strega? «Manovre sì, a tutti i livelli, non solo dei grandi gruppi. Sarebbe utopistico credere il contrario». Ma per essere presentati allo Strega silot­ta, prega,ama con e per il proprio editore ono? «Il mio romanzo è stato annunciato per lo Strega lo scorso agosto. Nessuna altalena di nomi in Fazi». E il premio le piace così com’è? Con que­sto pullulare di esordienti? «Sono d’accordo che debba tornare pun­to di arrivo o tappa e non punto di partenza. Però il vero criterio selettivo non devono es­sere età o fama, ma la qualità dei libri». Possibile che la qualità stia tutta negli esordi? «Certo, se Eco e Arbasino avessero accetta­to, avremmo avuto uno Strega differente, quest’anno. Ma la responsabilità non è del premio, bensì degli editori. Devono impe­gnarsi a presentare soltanto il libro migliore che hanno in catalogo». E quest’anno è andata così? «Da concorrente, essendo coinvolto, non rientra nel mio stile dare giudizi. Non sareb­be né carino né corretto parlare male degli altri candidati».