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 2011  aprile 17 Domenica calendario

«SONO STATO IO»

Venne arrestato nel ’93 nel pieno di Tangentopoli dai pm della Procura di Milano. Era un giovane sindaco dell’hinterland.Subì 50 giorni di car­cerazione e cinque anni di calvario giudiziario. Una vita rovinata, sul piano politico e personale. Risulta­to: assolto, era completamente inno­cente. Questo signore si chiana Ro­berto Lassini, è il presidente dell’as­sociazione che ha stampato e affisso per Milano il manifesto con la scrit­ta: «Via le Br dalle procure», slogan che evoca quella frase sul «brigati­smo giudiziario» pronunciata da Berlusconi pochi giorni fa all’uscita dal processo Mills. L’abbiamo rin­tracciato, oggi ci racconta la sua sto­ria. Che non è quella di un pericolo­so criminale, di un fanatico. È la vi­cenda di un uomo che ha vissuto sul­la sua pelle ( al momento dell’arresto era appena sposato e aveva un figlio di pochi mesi) la violenza dei pm po­li­ticizzati, arroganti e intoccabili. Quelli della stessa procura che oggi vuole distruggere Silvio Berlusconi postdatando la data di una presunta corruzione (Mills), che intercettano il premier violando la legge, che spia­no la gente e fanno passare per reati relazioni tra adulti consenzien­ti.
Alfano, ministro della Giustizia, ieri ha detto che quest’uomo non ha nessuna giu­stificazione. Comprendo il suo ruolo, ma mi permetto di dissentire. Chi finisce in ga­lera non solo ingiustamente, ma pure per motivi politici, ha qualche diritto in più a parlare di ministri, giornalisti e intellettua­li. Le Brigate Rosse volevano sovvertire i go­verni con la lotta armata di mitra. Certi ma­gistrati oggi vogliono raggiungere lo stesso obiettivo con la lotta armata di avvisi di ga­ranzia, sentenze e manette. Questi ultimi e la sinistra da ieri urlano allo scandalo, na­scondendosi dietro la memoria dei colleghi eroi che caddero sotto i colpi delle Br negli anni Settanta. Il valore di quegli uomini noi l’abbiamo ben chiaro, erano persone che non volevano sovvertire i risultati elettorali ma che, all’inverso, stavano dalla parte de­gli elettori, difendendo lo Stato da un attac­co militare e politico extraparlamentare. At­tacco al quale, tra l’altro, avevano strizzato l’occhio (a volte non solo quello) proprio quei soloni che oggi si indignano per il mani­­festo, ma che all’epoca non presero tutte le distanze dai brigatisti, definendoli solo co­me «compagni che sbagliano». Su questo punto non accettiamo lezioni da nessuno. Per difendere il lavoro di quei magistrati il fondatore e direttore de Il Giornale , Indro Montanelli, fu gambizzato, e non tutti a sini­stra provarono dispiacere.
Roberto Lassini non è un compagno che sba­glia. È un uomo incazzato che non vuole vede­re ripetere su altri l’ingiustizia che ha subìto. Ed è comunque meglio di Marco Travaglio, che rivendicò il diritto all’odio quando Massi­mo Tartaglia scagliò una statuetta in faccia a Berlusconi durante un comizio a Milano. Ri­vendichiamo per Lassini almeno la libertà di opinione concessa a Travaglio. Che comun­que è meno pericolosa della libertà di violen­za che certe procure si sono prese.