Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 07/04/2011, 7 aprile 2011
IL GRANDE POUSSIN
Eric de Chassey, direttore dell’ Accademia di Francia a Villa Medici, confessa di avere ignorato l’ esistenza degli arazzi di Poussin fino a poco tempo fa, quando Arnauld Brejon de Lavergnée e Marc Bayard gli hanno proposto di organizzare una mostra delle tappezzerie tessute sul tema della vita di Mosè secondo il celebre maestro del Seicento. Eppure è proprio grazie agli arazzi che Nicolas Poussin è diventato il genio nazionale dell’ arte francese. «Malgré-soi» come direbbero i suoi connazionali. Perché, fin che visse, abituato alla pittura da cavalletto, olio su tela, l’ artista si rifiutò di prendere in considerazione tutte le richieste di pittura monumentale. Nel 1642 le autorità monarchiche gli ordinarono di rientrare a Parigi da Roma, dove ha lavorato per la maggior parte della sua lunga carriera, nel tentativo di commissionargli grandi decorazioni. Senza alcun risultato. Vent’ anni dopo la sua scomparsa, avvenuta nel 1665, il nuovo soprintendente degli edifici del re, Louvois, prese una decisione considerata rivoluzionaria: affidare alla Manifacture des Gobelins una serie di arazzi tratti dalle opere di Poussin sulla storia di Mosè. Luigi XIV li acquisterà immediatamente per la sua collezione artistica e conferirà al pittore il ruolo di grande artista, destinato a sostituire come punto di riferimento i maestri italiani del Rinascimento, come Raffaello, Michelangelo e Pietro da Cortona. Attraverso gli arazzi, il nome di Poussin poté essere sfruttato ad uso politico. Ora che la Francia aveva il suo nuovo Raffaello, poteva strappare all’ Italia il primato internazionale dell’ arte. Cinque di questi arazzi (in tutto ne furono eseguiti una ventina, ma una buona parte furono bruciati durante la Rivoluzione) sono ora esposti nella mostra «Poussin e Mosè. Dal disegno all’ arazzo», inaugurata ieri a Villa Medici e aperta al pubblico fino al 5 giugno. Accanto ai tessuti, si possono vedere le varie versioni delle storie di Mosè, dal disegno al dipinto a olio e all’ incisione, sempre in piccolo o medio formato. E si trova la risposta a due quesiti che sorgono già nella prima sala dell’ esposizione. Perché Poussin si rifiutò di creare disegni per arazzi? E perché, vent’ anni più tardi, i tessitori riuscirono a trasferire nel formato monumentale le scene da lui pensate e realizzate per opere destinate al diletto di singoli appassionati? «La reticenza di Poussin riguardo alle grandi dimensioni - spiega de Chassey - lo distingue dai suoi contemporanei, ma non sembra dovuta a una sua incapacità, piuttosto a una particolare attenzione alla questione del formato, nel significato inglese che questa parola ha sin dal ventesimo secolo nel linguaggio degli artisti, dei critici e degli storici dell’ arte. Intendo dire che per Poussin le immagini non sono dei fenomeni fluttuanti che possono passare da un supporto a un altro, da un uso a un altro; ma, al contrario, ogni immagine è un’ incarnazione singolare, un’ immagine-oggetto in qualche modo. E la scelta del mezzo tecnico (dal disegno alla tappezzeria, dalla carta alla tela), e della sua dimensione, determina una immagine particolare». Il trasferimento delle storie di Mosè eseguito dai Gobelins sembra tuttavia riuscito. «Grazie al fatto che Poussin padroneggiava l’ arte della composizione lineare e di quella cromatica». Questo permette di avere due versioni diverse della stessa storia a seconda del supporto: nella tela di piccolo e medio formato la scena dipinta esprime una drammaticità intima, quasi psicologica. Trasferita nell’ ampia superficie dell’ arazzo diventa spettacolo.
Lauretta Colonnelli