Camillo Langone, Libero 16/4/2011, 16 aprile 2011
LA CARICA DEGLI ILLUSI «FASCIOCOMUNISTI»
No, il fasciocomunismo no, pietà. Al fascismo abbiamo già dato: una guerra persa, l’Istria persa, quattrocentomila vite perse. Al comunismo abbiamo già dato: le foibe, il triangolo della morte, le Brigate Rosse, oltre che lo stesso fascismo (chiamato al potere, bisogna ricordarlo sempre, per riportare l’ordine nell’Italia devastata dagli scioperi e dalle violenze bolsceviche del 19191920).
Perché a distanza di tanti anni riesumare i due cadaveri nemmeno tanto squisiti? Per farli copulare tra loro: è questo l’orrendo, necrofilo spettacolo promessoci da Antonio Pennacchi, scrittore che merita di essere letto e politico che non merita di essere ascoltato. Nella sua Latina ha ispirato la lista Pennacchi-Fli, improbabile accrocchio con due obiettivi dichiarati: il primo è locale, far perdere il candidato sindaco del Pdl; il secondo è nazionale, «riportare i fascisti a sinistra». Sembrano cose dette al bar, ma invece le ha dette a Panorama e per la precisione a Pietrangelo Buttafuoco, intervistatore e cantore. «Erano i fascisti che toglievano ai ricchi per dare ai poveri», proclama ispirato e siccome porta sulle spalle più di trent’anni di lavoro operaio (Fulgorcavi) e sulla testa un berrettino modello Lenin, qualcuno capace di credergli lo troverà.
Inutile cercare di far entrare in teste così dure l’ascesa finanziaria, avvenuta proprio durante il Ventennio, della famiglia Agnelli e dei tanti agrari e industriali che finanziarono il Duce affinché togliesse di mezzo i sindacati: dai Piaggio al conte Volpi a cui dobbiamo la diga del Vajont e relativa tragedia. Lo sguardo di Pennacchi non arriva al Nord, se è per questo non arriva nemmeno a Frosinone, per lui il fascismo si riduce alla bonifica pontina che guarda caso è una delle cose buone del regime (non sarò certo io a definire il fascismo «Male assoluto»: a farlo, nel 2003, fu quel Gianfranco Fini fondatore del partitino da cui dipende la lista fasciocomunistica di Latina). L’opera dell’autore ha un unico orizzonte e a provarlo bastano i titoli: Palude, I borghi dell’Agro Pontino, Guidonia, Pomezia. Città di fondazione, Viaggio per le città del Duce, fino al romanzo vincitore dello Strega, Canale Mussolini, piaciuto anche a Giorgio Napolitano, Miriam Mafai e Fausto Bertinotti che pertanto possono essere tranquillamente considerati fasciocomunisti ad honorem (Pennacchi svela che i complimenti sono stati fatti sempre in privato, mai in pubblico: hanno paura di compromettersi, quei cuori di leone).
Amare la terra
Intendiamoci: è buono e giusto che uno scrittore ami la propria terra, il problema sorge quando questa viene identificata in tutto e per tutto con un politico che ne sarebbe addirittura l’inventore, nella fattispecie il Mascellone. Sarebbe come se il premio Campiello lo vincesse un romanzo intitolato Cima Bossi in cui vengono esaltati contemporaneamente Lega e Padania. Impossibile, grazie a Dio. Buttafuoco nell’articolo sottolinea l’importanza, per realizzare il fasciocomunismo in terra o almeno a Latina, del “racconto”, parola vendoliana che andrebbe sostituita con “favola”, renderebbe meglio l’idea.
Sono proprio fiabe quelle narrate da Pennacchi: Mussolini Robin Hood, Fini statista, Bocchino fasciocomunista... La favola più commovente, da lacrimuccia, è quella di Almirante che gli voleva bene. Sembra che il segretario del Movimento Sociale avesse un debole per il futuro scrittore, giovane promessa del partito fino a quando non venne espulso chissà perché e da chi, forse da un cattivissimo fasciofascista. Non fosse andata così, racconta Pennacchi, magari oggi al posto di Fini ci sarebbe lui... C’è una luce ingenua negli occhi di questo operaio in pensione che porta camicie a maniche corte e lunghe sciarpe rosse, è evidente che lui alle sue favole ci crede. Molto meno candidi appaiono gli estimatori finiani, a cominciare da Granata che gli si presentò esclamando: «Io sono un fasciocomunista». Da simili dettagli si evince che la lista Pennacchi-Fli è un Farefuturo con altri mezzi, un’operazione multimediale dove il fascismo è solo uno specchietto per allodole nostalgiche e il vero obiettivo è accreditarsi presso i futuri padroni del mondo postberlusconiano. Padroni di sinistra, ovvio.
Siccome i granatieri ci tengono alle forme e non vogliono apparire trasformisti, no, voltagabbana, nemmanco, devono vestire la propria ambizione di panni culturali. Mica sono Scilipoti, loro: hanno perfino il Premio Strega. Dispiace che uno scrittore fondamentalmente onesto, arrivato troppo tardi al successo e quindi con un tantino di giustificabile voglia di rifarsi, si faccia usare in questo modo. Dispiace di più che un progetto politico opportunistico, anticattolico, anti-italiano, erede di ideologie che hanno sfasciato l’idea stessa di nazione, riesca a darsi un tono intellettuale che invece manca al vitalismo berlusconiano e al patriottismo leghista, in tutt’altre faccende affaccendati.
Coro stonato
I finiani sono andati a lezione da Gramsci e sull’egemonia ci investono. Non bastava l’occupazione di scuola editoria televisione cinema teatro canzone da parte della sinistra, ci volevano pure loro nel coro. Pennacchi accusa la Lega di stare sempre un passo indietro: «Si lascia guidare dalle masse ma senza saperle indirizzare». Come se fosse una colpa rappresentare, come se fosse obbligatorio prevaricare, forzare, plagiare. Dietro questi discorsi c’è sempre l’idea lugubre, violenta, militare di avanguardia, cara a tutti i totalitarismi del Novecento, sia politici che artistici. Lo scrittore di Latina non lo tiene nessuno, di sicuro non Buttafuoco, e nell’intervista arriva a dire ciò che davvero pensa: «Il presidente Mao è un vero fasciocomunista e forse anche più di Stalin». Sarebbe questo il futuro e la libertà d’Italia.
Camillo Langone