Stefano Bartezzaghi, la Repubblica 14/4/2011, 14 aprile 2011
METEO MANIA
METEO MANIA - «Aggiornamento» è una sorta di nutrizione coatta. Nel suo ultimo romanzo, Punto Omega Don De Lillo ha individuato quattro dei generi con cui viene propinato dai mass-media, in forma sempre più rapida, miniaturizzata e continua: sono news e traffico, sport e meteo. Solo i primi tre sono determinati dagli uomini, dalle loro parole e dalle loro armi, dalle loro usanze e dai loro spostamenti, dai loro veicoli e dai loro corpi. Al quarto genere, il meteo, pensa il cielo. Non il Cielo abitato da dèi irosi, né qualche altro Cielo fatale, come quello degli astrologi.
Questo è un cielo minuscolo e impersonale, il soggetto imperscrutabile della più concisa (e dannata) frase della lingua italiana: «Piove».
Un cielo ultraterreno, ma di poco. Troppa parte dell´umanità ha oramai preso almeno un volo di linea nella vita e si è tolta la curiosità di controllare cosa c´è sopra le nuvole, e soprattutto cosa non c´è, per immaginarsi qualche ragione diversa da un intreccio di concause tutte ambientali e immanenti. Morto Giove Pluvio, resta il clima, detto anche «meteo» nella banalizzazione mediatica e ben più sostanziosamente «Tempo» nella chiacchiera da ascensore. Come sottrarlo (o illudersi di farlo) alla sua indole capricciosa, alla sua dipendenza dal caso, alla sua imprevedibilità?
In ogni new medium la risposta. L´audience dei molti bollettini meteo nazionali e regionali della Rai raggiunge i tre milioni di telespettatori, lo share può avvicinare la soglia di questi tempi vertiginosa del 30 per cento, anche grazie ai sempre nuovi dispositivi virtuali e animazioni ammiccanti. Dai grandi portali Internet, come www.weather.com o la sezione «weather» del portale della Bbc (a rinverdire il tradizionale primato meteorologico britannico), sino ai meteo locali, l´informazione sul tempo che fa dilaga poi nei commenti del gruppo «Meteomania» su Facebook e un´immancabile applicazione di «Meteo Parlante» per iPhone. Oltre alle informazioni analitiche e attendibili (specie se a pagamento), su Internet si trova anche il know how per elaborare le proprie previsioni, come hanno già imparato a fare consistenti pattuglie di meteorofili fai da te.
Davanti a un simile panorama, i nostri rapporti con il meteo sono improntati a una sempre maggiore impazienza e minore rassegnazione. Quando una grandinata poteva rovinare raccolto e reddito di un anno intero, si sbuffava, si pregava, si sopportava. Adesso, quando al massimo guasta un weekend al mare o ai monti, è il dramma. A causa della carenza di cura ambientale, peraltro, il dramma si verifica davvero con alluvioni e disastri, per cui i telegiornali usano per il meteo un lessico da cronaca nera con tocchi fra l´apocalisse e il sadomaso: il temporale che sferza, la morsa del ghiaccio, la grandine-killer; recentemente, per una nevicata su Roma, anche la «frusta del maltempo». E poi le piogge acide, le nubi tossiche, le piogge ghiacciate, tuoni e fulmini che ci puniscono delle nostre gravi mancanze.
Si possono distinguere alcune fasi in questa nostra progressiva discesa nel maelström del maltempo (e della meteoropatia psicosomatica). La lunga preistoria del meteo, fatta di ansiosi scrutini del cielo, danze della pioggia, antica sapienza proverbiale sulle pecorelle e i rossi di sera, incomincia a terminare nel Seicento con i primi igrometri, barometri, anemometri. La meteorologia - in italiano detta regolarmente «metereologia» - resta sino all´Ottocento cosa da pionieri. Ci si accontentava delle notizie tradizionalmente consegnate agli almanacchi, che furono però anche la prima forma di stampa popolare: ricordavano i tempi di semina e di raccolta, davano informazioni sui cicli lunari. Dicevano che di inverno fa freddo e nevica mentre d´estate il solleone è molto caldo, ma allora ce ne si rallegrava. No news, good news. No traffic, good traffic. Eccetera.
Curiosità da positivisti, ma anche punto ironico di incontro fra natura e scienza, il progresso di questa meteorologia ancora rudimentale ma non più del tutto ignota ha poi ispirato pagine letterarie come la prima dell´Uomo senza qualità di Robert Musil o molte della Montagna magica, già incantata, di Thomas Mann. Conoscenza, informazione. Fondamentali in mare e in montagna, i bollettini hanno cominciato a fare «servizio pubblico» prima alla radio e poi alla tv. In Italia venne il tempo dei colonnelli, il primo dei quali, l´insuperato Edmondo Bernacca, fu capace di spiegare al pubblico più popolare e minuto cosa ci fosse dietro a un temporale e cosa comportasse una variazione di pressione. Nacque allora il mito dell´«Anticiclone delle Azzorre»: erano anche i tempi in cui non si sapeva che fumare fa male, che i gas di scarico delle macchine sono veleno, che l´ozono si buca e che a far venir giù colline e paesi soprastanti non è la pioggia ma il dissesto idrogeologico. Quindi Bernacca ce lo si ricorda come molto rassicurante.
Il suo ruolo, che interpretava quasi in esclusiva, oggi è invece ricoperto da diverse figure professionali. Ci sono i colleghi: ufficiali, come lui, dell´Aeronautica, ma con poco «charme» e molta compunzione. Colonnello è anche Mario Giuliacci, il meteorologo del Tg5, appena passato a La7 per polemica contro la seconda figura professionale collegata al meteo: la meteorina, la bella ragazza vestita quanto è necessario, che sorgendo in video cerca di rendere splendenti - almeno ai telespettatori maschi - anche le previsioni più bigie. Presente in televisioni di tutto il mondo, ha assunto dimensioni e rilevanza preoccupanti nell´isobarico Tg4 di Emilio Fede. Più vestiti, ma sempre giovani o almeno giovanili e piacenti, i conduttori della gran parte delle altre rubriche meteo: lavorano molto sulla voce e, con la sciagurata creatività dei telecronisti di calcio, lanciano modi di dire di ameno quanto sedicente tecnicismo. Il più spassoso richiama Husserl: «l´assenza di fenomeni».
Terza figura professionale, il meteo intellettuale-engagé rappresentato da Luca Mercalli. Lanciato assieme ad altri giovani meteorologi da Fabio Fazio nella primissima edizione di Che tempo che fa, Mercalli è rimasto l´ultimo testimonial dell´originale vocazione del programma. Nei suoi interventi, la parte di previsione meteorologica è sempre meno importante dell´informazione - assai partecipata e preoccupata - sulla ricerca scientifica, sul risparmio energetico, sulle iniziative di organismi internazionali, sulle politiche (assenti) del territorio. Con quel fisico da elfo arguto ha un compito da Grillo Parlante vero e proprio, ma cerca di farlo pesare poco. Del resto, oggi, almeno per chi in bikini non sarebbe telegenico, è davvero difficile fare finta che «il tempo che fa» riguardi solo il dilemma fra stivale o sabot domani mattina. Neppure una legione di colonnelli dell´aeronautica, ammesso che lo desideri, potrebbe rassicurare scongiurando radicalmente ansie o anche paranoie vere e proprie. Se poi non ci si vuole pensare, fra il risultato di un derby e un aggiornamento sul traffico ci sono le fatine con le bacchette: e la pillola meteo va giù.