Massimo Raffaeli, TuttoLibri - La Stampa 16/4/2011, 16 aprile 2011
I VILLAN RIFATTI PALLE AL PIEDE DELL’ITALIA
E’ stato detto che durante il fascismo Corrado Alvaro (1895-1956) era sul fronte interno quello che Ignazio Silone poteva essere tra i fuoriusciti. Fatto sta che l’autore di Gente d’Aspromonte (‘31), battistrada del neorealismo, giornalista de La Stampa inviato all’estero come si trattasse di un esilio ufficioso, aveva sempre avuto col regime un rapporto complesso per non dire controverso: democratico radicale, convinto anticlericale, oppositore in pectore ma temuto dal Duce per la sua scontrosa fierezza, aveva accettato alcune prebende e sparso dei grani d’incenso sulla bonifica dell’Agro Pontino. Non si era tuttavia compromesso, se tra il 25 luglio e l’8 settembre tocca a lui dirigere Il Popolo di Roma , cioè un foglio dichiaratamente antifascista.
Dopo l’interregno di Badoglio, l’occupazione nazista della capitale lo costringe a nascondersi in Abruzzo sotto falso nome: di ritorno a Roma liberata, scrive a puntate per Il Popolo un libello militante, L’Italia rinunzia? , che esce da Bompiani nel febbraio del ‘45 quando ancora oltre la Gotica si combatte la guerra civile. Ristampato in sordina (e privo di qualunque apparato) da Sellerio nel 1986, viene adesso riproposto da Donzelli con una nota introduttiva di Mario Isnenghi, il quale lo legge a contrasto del coevo De Profundis di Salvatore Satta cui si deve la tesi, divenuta celeberrima, dell’8 settembre come «morte della Patria».
Scritto nello stile severo e incalzante che è tipico del narratore calabrese, L’Italia rinunzia? propone viceversa la tesi del fascismo come esito del trasformismo secolare e come disastroso compimento dell’età liberale. Cioè un regime di piccoloborghesi ignoranti e spiantati, di palloni gonfiati a liceo classico e retorica imperiale, un regime di «villan rifatti» il cui solo atteggiamento nei riguardi dell’Italia che lavora, specie in Meridione, è una forma di odio razziale.
Lontano dalla Resistenza e ignaro del Vento del Nord, Alvaro invoca il protagonismo popolare nel momento in cui, a Roma, chi si è appena tolta la camicia nera già pretende di tornare al suo posto: «L’Italia di domani scrive - si va rappezzando coi residui dell’Italia di ieri». La forza del pamphlet è nel fissare in poche pagine la clausura culturale del fascismo, nel cogliere il tanfo di rinchiuso e lo stato di coma perenne in cui versa la questione meridionale, ma il suo limite è un ingenuo populismo, a proposito del quale Isnenghi si domanda: «Alvaro come azionista nel Mezzogiorno?».
Qui andrebbe ricordato che fra i pochi recensori del libello compaiono in effetti due aderenti al Partito d’Azione, nientemeno Carlo Dionisotti ed Eugenio Montale.
Il primo (su Risorgimento , poi in Scritti sul fascismo e la Resistenza , a cura di G. Panizza, Einaudi 2008) riconosce il merito della «requisitoria appassionata» ma rimprovera il silenzio sulla lotta armata in corso al Nord.
Il secondo, nello scritto confluito in Auto da fé (1966), gli ricorda che era «popolo» anche quello che sbraitava in Piazza Venezia: può sembrare un rilievo impietoso quest’ultimo ma, sia detto ora per allora, contiene qualcosa di profetico.