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 2011  aprile 15 Venerdì calendario

BRASILE, CORSA DELLE IDEE - È

sabato mattina. Un sabato qualunque, a San Paolo. E la rua 25 de Março è un fiume di gente. Migliaia di persone, nel cuore del grande centro storico che si allarga sino al Mercado Municipal. Correnti di un fiume di folla, che si insinuano nelle altre strade, risalgono i vicoli, tornano a sciamare su quella via principale che ha un nome solenne (ricorda la data della prima Costituzione promulgata nel 1824 dall’imperatore Dom Pedro I) e un volto allegro di popolo. Ragazze belle, disinvolte, spavalde. Donne, con i bambini che sfuggono dalle loro mani e sgambettano, chiassosi. Uomini in pantaloni corti e magliette vistose. E ragazzi, un’infinità di ragazzi, jeans sdruciti e, ai piedi, scarpe sportive o, spessissimo, colorate havaianas, le ciabatte infradito di gomma. Entrano ed escono dai mille locali che fiancheggiano la strada, grandi magazzini popolari, supermercati alimentari, negozi d’abbigliamento, botteghe zeppe di articoli per la casa, maschere e costumi per le feste del Carnevale, chincaglierie, cineserie, un camisódromo che vende appunto camicie in offerta speciale, officine che riparano motociclette o le vendono di seconda mano, spacci di elettronica di largo consumo, nelle vetrine piccole i telefonini e gli elettrodomestici, nelle vetrine grandi le tv, le lavatrici e i frigoriferi, sovrastati da cartelloni pubblicitari che annunciano «10 rate mensili da 39 reais», non importa se ci vorrà quasi un anno per finire di pagare, i mariti e le mogli fanno rapidi conti, quei 39 reais forse ce li possiamo permettere, e via a informarsi meglio, cercare di capire qual è l’affare più conveniente, comprare. Eccolo, il verbo: comprare.

E proprio questa, la rua 25 de Março affollata e festosa, musicale e rumorosa, può essere un’immagine simbolo, tradotta in scene di vita quotidiana, di un Brasile che cresce a ritmi da record e in cui milioni di persone escono dalla povertà ed entrano nel l’era del consumo. Consumo di massa. Quello che gli economisti chiamano mercato interno in impetuoso sviluppo.

Quanto impetuoso? Se si traduce quel 7,6% di aumento del Pil del 2010 in dati da economia quotidiana, si scopre che più o meno 30 milioni di brasiliani sono entrati per la prima volta in un negozio per comprare a credito la prima tv (il bene durevole più venduto), il primo elettrodomestico o la prima automobile. Passa il tempo, si continua a comprare. Altri dati e altre storie confermano una tale tendenza. Il credito al consumo, per esempio, che cresce tra il 15 e il 20% al l’anno ed è arrivato a rappresentare circa un sesto del Pil, con le insolvenze (e quindi con gli spread) in calo. La gente fa acquisti, indebitandosi. E paga le rate. Considerando appena il settore delle carte di credito, il loro numero in dieci anni è cinque volte maggiore (oggi sono 565 milioni quelle in circolazione) e con un volume di pagamento in aumento del 23% all’anno in media. Tutti dati positivi, che non mostrano segni di crisi.

I soldi, si sa, non fanno la felicità. Ma proprio nelle stagioni in cui aumenta la ricchezza di una nazione, e soprattutto si diffonde il benessere creato da quella ricchezza, il fatto di avere più soldi in tasca è un propellente sociale e culturale dotato di una straordinaria energia. Lo sanno bene gli europei, gli italiani che erano giovani o ancora adolescenti, in quel periodo tra gli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta in cui la ricostruzione post-bellica e poi il «miracolo» economico avevano effetti di stimolo sulla produzione intellettuale, artistica e culturale. Se lo ricordano anche i brasiliani più anziani, quando fermano la loro memoria su quello stesso periodo in cui, pur in condizioni radicalmente diverse dal l’Europa, il Brasile veniva investito da ondate di rinnovamento, di fantasiose iniziative, di progetti di sviluppo. Era il tempo (1955-1960) della presidenza di Juscelino Kubitschek, figlio di famiglia povera, arrivato al successo come medico, poi nel l’esercito e infine in politica, sino a diventare prima sindaco di Belo Horizonte, quindi governatore di Minas Gerais e finalmente capo dello Stato a Rio de Janeiro (era quella, allora, la capitale del Brasile).

Un uomo alto, bello, elegante, ambizioso. Un motore di novità. Partiva l’industrializzazione, con l’arrivo, accanto alle multinazionali americane dell’auto, come General Motors, della tedesca Volkswagen, stimolata appunto da Kubitschek e che, con la sua Käfer, Maggiolino in Italia, Fusca in Brasile, apriva la strada alla motorizzazione di massa brasiliana. Si progettava la nuova capitale Brasilia, dal deserto alla sua inaugurazione tutto un miracolo in pochi anni, capolavoro progettuale per l’architetto Oscar Niemeyer, l’urbanista Lúcio Costa e il paesaggista Roberto Burle Marx e stimolo per una scuola di architettura e urbanistica brasiliana che avrebbe avuto credito e ascolto in tutto il mondo (ma anche, quella capitale di cemento a forma di aeroplano, fonte di corruzione e di esplosione del debito pubblico che avrebbe pesato per anni, sulla struttura economica del Paese). E comunque, in quel clima progettuale e denso di umori futuribili, il Brasile si affermava come star dello sport, conquistando nel 1958 la prima di cinque Coppe del mondo di calcio, con la nazionale di Pelé e di Garrincha, «uccellino», povero e claudicante da bambino, ma capace, per sogno e forza di volontà, di arrivare al l’empireo del pallone (e non le avrebbe dimenticate, le sue origini, il campione, dedicando tempo e risorse a fare giocare i ragazzini poveri, per tirarli via dal dolore e dal l’umiliazione della miseria di strada).

Non solo calcio. Ma anche musica. Perché sempre in quel 1958 nasceva la bossa nova, che inglobava la tradizione nei ritmi del tempo nuovo e consacrava la fama di musicisti e poeti come Antônio Carlos «Tom» Jobim, João Gilberto e Vinícius de Moraes. Uno dei più intensi e coinvolgenti contributi del Brasile alla cultura del mondo.

E adesso, adesso che il Brasile è entrato stabilmente in una nuova stagione di prosperità? Chi gira per le strade e le piazze, le librerie e i teatri, le sale da concerto e le aule universitarie, le redazioni di case editrici e giornali delle città brasiliane, i laboratori di ricerca e gli uffici studi delle Fondazioni culturali pubbliche e private (comprese quelle di una lunga fila di imprese industriali e finanziarie), scopre fermenti di iniziative, creatività, progetti, idee. Una riprova? I padiglioni della 29a Biennale di San Paolo (settembre-dicembre 2010), animata da artisti innovativi e fantasiosi che reggono il passo con quel che di interessante succede nel l’arte a Londra e a New York, a Parigi e a Barcellona.