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 2011  aprile 15 Venerdì calendario

PERCHE’ LE GENERALI HANNO RESO MENO. TRIESTE E LA SFIDA DEL DOPO GERONZI

La sconfitta di Cesare Geronzi non chiude il caso Generali, ma lo riapre in termini nuovi: non tanto sulla joint-venture Generali-Ppf, che in proporzione guadagna assai più delle Generali medesime, quanto sul rendimento in rapporto al capitale investito dagli azionisti. Le società e le persone, che hanno spodestato il banchiere di Marino, esprimono interessi diversificati. Gli investitori puri come Del Vecchio, Caltagirone e la Fondazione Crt pretendono adeguati ritorni. Altri come De Agostini perseguono analogo obiettivo, ma con la pazienza di chi ha comunque già guadagnato bene in un colpo secco con la compagnia quale fu la cessione della Toro. Più articolata la posizione di azionisti partner in affari in corso come i vicentini di Ferak e il ceco Petr Kellner. Per non parlare di Mediobanca, che accumulò la partecipazione in Generali grazie alla lungimiranza, anche fiscale, di Maranghi e da Generali può tuttora ricavare incarichi e appoggi, oltre alle utilità comuni a tutti i soci. Le tensioni con Geronzi avevano messo la sordina a questa varietà di attese, con ciò favorendo l’alta direzione guidata da Giovanni Perissinotto. Ma come la caduta del muro di Berlino ha poi messo fuori gioco democristiani e socialisti in Italia, così, su più modesta scala, la caduta del muro di Marino avrà l’effetto di liberare tutti i soci dagli obblighi di coalizione e renderà più complessa la mediazione manageriale. Le Generali, si dice, non fanno sognare, ma non procurano nemmeno incubi. Era vero prima della parentesi geronziana. E’vero adesso. Il valore di Borsa è abbastanza superiore al patrimonio netto contabile, mentre in Axa è molto inferiore e in Allianz superiore di poco. Il premio attribuito a Generali coincide con la plusvalenza teorica sugli immobili, stimabile sul 30%del loro valore di libro. Ma nel caso delle grandi compagnie internazionali il patrimonio contabile fronteggia anche ingenti attività immateriali, soprattutto avviamenti: 18,2 miliardi di euro di mezzi propri contro 10,8 di intangibili in Generali; 49 miliardi contro 28,7 in Axa; 44,5 miliardi contro 31,6 in Allianz. Il dubbio che gli avviamenti siano gonfiati è legittimo, visto che rappresentano il plusvalore riconosciuto ai venditori nelle acquisizioni ante crisi. Se dunque la rilettura degli attivi patrimoniali è controversa, ancor più complicato è giudicare la redditività, anche perché alcuni campioni a suo tempo indicati a modello dall’olandese Ing all’americana Aig— hanno potuto evitare l’onta del fallimento solo grazie al pronto soccorso di governi in precedenza fieramente liberisti. In ogni caso, sull’arco dei 20 anni, che compensa gli sbalzi congiunturali, Generali dà un total return cumulato (variazione del titolo più i dividendi) del 127%contro una media internazionale del settore del 148%. Allianz, penalizzata dall’acquisto di Dresdner Bank, rende il 70%, ma Axa fa quasi il triplo della rivale italiana. Nell’arco degli ultimi 10 anni, invece, Generali ha un rendimento negativo del 50%contro una media settoriale negativa per il 48%con Axa che perde il 40, Allianz il 64%e Zurich il 56%. A deludere davvero sono gli ultimi tre anni, nei quali Generali fa nettamente peggio della concorrenza: meno 49%rispetto alla media. Colpa dell’aumento del rischio Paese e delle turbative della presidenza Geronzi, sostiene il management. Fatti veri. Ma spiegano tutto? I prossimi mesi diranno, ma intanto ci si chiede se il rilancio della compagnia passi dal colpo d’ala. I banchieri d’affari e i ceti professionali legati al business delle fusioni e delle acquisizioni da sempre suggeriscono la Grande Operazione: nel caso specifico la fusione con Axa. Il loro tornaconto sarebbe certo, pingue e immediato. Ma siamo sicuri che l’espansione per linee esterne sia meglio per definizione? La risposta che da una banca americana come Citi è negativa. Chi ha più fatto operazioni straordinarie (fusioni, acquisizioni e dismissioni) non è in testa alla classifica dei rendimenti. E in questo contesto, Generali non brilla, pur essendo la terza per attivismo finanziario. Le acquisizioni fatte in Italia — dall’Ina-Assitalia alla Toro — non hanno molto allargato né la quota di mercato né i margini. Al di là dei numeri specifici, il paragone di Citi è interessante anche per la distanza tra compagnie americane come Ace e MetLife e le compagnie europee sui rendimenti. Il settore assicurativo Usa non gode di una gran reputazione dopo il disastro di Aig, ha una fiscalità più favorevole, criteri contabili più comodi (i profitti delle polizze vita, anziché essere spalmati anno per anno, vengono anticipati nell’esercizio della stipula), ma non si può negare che rispetto a Generali, Allianz, Zurich e Axa, le compagnie americane siano più focalizzate sul business e abbiano fatto acquisizioni assai più mirate.
Massimo Mucchetti