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 2011  aprile 21 Giovedì calendario

JOVANOTTI: PEDALO DUNQUE SONO

Riso in bianco e acqua minerale. La dieta di Lorenzo Cherubini somiglia a quella di un monaco zen: "È sempre così prima di ogni tour: crampi allo stomaco. Meglio non correre rischi". Quarantaquattro anni, fisico da atleta illustrato dai tatuaggi, questo eterno ragazzo che sembra non invecchiare mai, tra una prova e l’altra salta sulla bici e si fa un giro pedalando nel palasport con il suo panama bianco calato sulle 23. Siamo al 105 Stadium di Rimini - da qui il 16 aprile prenderà il via il tour ispirato in gran parte all’ultimo album "Ora", musica per le feste all’insegna dell’ottimismo in apparenza leggera, nella sostanza il suo disco più politico. Con quel che sta accadendo nel mondo e in Italia, un Paese in bancarotta economica, sociale e politica, parrebbe una missione disperata.
Quali motivi ha trovato per essere tanto ottimista?
"Ci sono, ma vanno cercati, l’ottimismo è una forma di resistenza. Per esempio aprite il sito www.ted.com e ascoltatevi un po’ di conferenze. È pieno di scienziati che parlano di scoperte meravigliose, la ricerca sulle staminali, le nuove frontiere della fisica. Non è una ragione per essere ottimisti? Miliardi di persone, a cominciare dal Brasile e dall’India, stanno riprogettando il futuro... In Nord Africa i ragazzi fanno la rivoluzione, chiedono democrazia, istruzione, di poter fare all’amore, ascoltare musica, conoscere il mondo. Anche per questo abbiamo il dovere morale di essere ottimisti".
Una rivoluzione impensabile prima di Internet...
"Ormai non si torna indietro. Oggi il mondo, grazie anche al Web, potrebbe compiere un salto evolutivo impensabile. Basta guardarsi attorno: ovunque la sensibilità ecologica si sta risvegliando. Le possibilità della comunicazione e della conoscenza stanno crescendo ogni giorno. Il concorrente nel mondo del lavoro di mia figlia Teresa, che oggi ha dodici anni, domani non sarà il compagno di banco, ma il coetaneo che in questo momento sta studiando a Nuova Delhi o a Bahia".
Insomma c’è vita nel mondo oltre il bunga bunga, oltre questa nostra Italia prigioniera di un passato che non passa, bloccata da un conflitto permanente...
"Sì, bloccata, ma grazie anche alla complicità di chi all’opposizione non ha saputo costruire un’alternativa credibile. Sono convinto che Berlusconi abbia fatto gravi danni al Paese lavorando sull’immaginario. Grazie a lui e alle sue televisioni è passato il concetto che l’ignoranza è una figata. Il berlusconismo può essere sconfitto soltanto da un altro immaginario, non da un immaginario che non c’è".
A cosa si riferisce?
"Certo è che nel 2011 non possiamo prescindere da una politica fatta di immagine. Barack Obama insegna. Alle prossime elezioni voterò a sinistra, per dovere morale e civile, come ho sempre fatto. Poi vedo i manifesti di Bersani: "Oltre il precariato c’è il lavoro" e rimango stupito. D’accordo, la questione del lavoro è centrale, specie per migliaia di giovani condannati a un futuro di precariato. Ma la comunicazione è un mondo di creatività, di emozioni, di seduzione. L’immagine di Bersani in maniche di camicia mi fa l’effetto opposto".
Conclusione?
"Il fatto è che non c’è una visione: come la vorresti l’Italia tra dieci anni? Come ci possiamo arrivare? Quali sono le priorità? Forse ero distratto, ma non ne ho sentito parlare. Ci si limita a una gestione a vista di piccoli poteri locali, ma non basta".
A proposito, com è la vita dell’artista glocal a Cortona tra realtà locale e globale?
"Cortona è quel che si dice un’isola di buon governo: un posto dove gli ospedali funzionano, i trasporti sono efficienti, mi conoscono tutti, si vive bene. Sali in bicicletta sulla collina e con lo sguardo abbracci la Val di Chiana. Al rientro apro il computer e mi connetto con il mondo. Il nuovo disco l’ho preparato via mail lanciando domande al filosofo Franco Bolelli, per me una figura tra lo sparring partner e l’oracolo degli "I Ching". Attraverso questo dialogo, che poi è diventato un libro, "Viva tutto!", ho messo a fuoco le idee sia del nuovo album che dello spettacolo".
Qual è il messaggio?
"La politica deve dare ai ragazzi la possibilità di fare, i mezzi per studiare e capire la realtà. Il mio è un lavoro sul contro-immaginario. Musica per ballare e divertirsi, ma anche stimoli per riflettere sul presente, uno spazio in cui il pubblico possa connettersi con il mondo e provare a dargli un senso".
Il pop italiano sembra indicare una terza via: parole d’ordine e canzoni capaci di intercettare gli umori della sinistra che scende in piazza, anche se poi magari non vota Pd.
"Sarà, ma prevale tuttora la staticità delle forme, anche mentali. Il pop di casa nostra è arroccato nella forma canzone. Stiamo ancora scrivendo come De Gregori e Dalla. Grandissimi cantautori per carità. Ma intanto negli Usa c’è Lady Gaga, ci sono i Black Eyed Peas e gli Arcade Fire. Ci vuole coraggio per cambiare. A vent’anni è facile, a quaranta lo è di meno".
Già, l’Italia non è un Paese per giovani.
"Nella musica come in politica ci vogliono idee audaci. Se parli con Dario Franceschini in privato è pieno di idee audaci. Sembra incredibile... è un visionario! Gli ho chiesto perché non le dice, quando va in tv, queste stesse cose. Mi ha risposto: meglio di no, che poi diventa polemica politica. Secondo me ha un animo artistico, si vede dai romanzi che scrive. Giorni fa, durante una cena a Cortona, gli ho suggerito di smettere con la politica e di fare lo scrittore a tempo pieno".
E Veltroni?
"Una bella penna anche lui, ma il Veltroni politico e lo scrittore sono due facce della stessa medaglia. Franceschini è più schizzato, imprevedibile. Perché la realtà è complessa, le persone pure, mentre la politica costringe a essere bianco o nero, la tua complessità non la puoi mettere in scena".
Di cosa avrebbe bisogno il Paese?
"Di qualcuno capace di portare un po’ d’entusiasmo. Sono certo che con un po’ d’entusiasmo la gente pagherebbe perfino le tasse più volentieri. In una storia d’amore diventa fondamentale capire come rinnovare l’entusiasmo, trovare nuovi equilibri. Un Paese in definitiva funziona come una grande storia d’amore tra persone che si trovano a vivere nello stesso posto, nello stesso tempo".
Magari come separati in casa.
"Purtroppo è così. Chi si proponeva come l’uomo dell’unificazione ha finito col diventare l’uomo della divisione, il muro di Berlino dell’Italia. Il mio babbo e la mia mamma hanno vissuto tutta la vita litigando. L’ho capito tardi, ma quello era il loro modo di volersi bene. Berlusconi ha tirato su un muro e la gente non fa che litigare. Osservi uno di destra e uno di sinistra che discutono al bar, ti rendi conto che non sono d’accordo su nulla. Colpa del muro. Ma non è detto che dopo la caduta tutto si rimetta subito in moto. Ci vorrà del tempo".
Fiducia nel pop, nel potere delle canzoni?
"Parliamo della forma d’arte più potente e popolare che c’è. Sono stato un mese in Iran, un viaggio in bicicletta dall’Armenia a Teheran. Un Paese dove ragazzi e ragazze non possono ascoltare rock, né tenersi la mano per strada o entrare in un bar insieme. Valori per i quali loro rischiano la vita. L’idea che ci siano ragazzi che rischiano la vita per un concerto rock ti fa riflettere. Ti mette di fronte alle tue responsabilità".
Nel nuovo spettacolo c’è spazio per la gioiosità di Rossini e gli effetti in 3D di "Tron": come riesce a tenere tutto insieme?
"Rossini oggi si sarebbe divertito come un pazzo.Verdi non tanto, ce l’aveva un po’ con i giovani. Gli piaceva Puccini, ma era terrorizzato dal Novecento".
All’autore del "Nabucco" ha dedicato anche il nuovo libretto che sta scrivendo per il laboratorio musicale con i ragazzini di Cortona, com’è maturata questa idea?
"Mi sono messo a loro disposizione coinvolgendo persone in gamba per creare nella Fortezza di Girifalco ristrutturata dal Comune, dei workshop annuali. Qui, ragazzi fra i 7 e i 14 anni trascorrono dieci giorni sperimentando le loro potenzialità espressive sotto la guida di professionisti esperti, misurandosi con un processo creativo, lavorando sulla partiture. Ho cominciato con Mozart, poi Rossini, quest’anno tocca a Verdi".
Patriottico come le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia?
"La vicenda è ambientata nel 1900. L’editore Ricordi va a chiedere a Verdi un’ultima opera, lui ormai è vecchio, non ha più voglia. Alla fine però cede e decide che la sua ultima creazione sarà un’opera buffa, genere in cui non si è mai cimentato. E quest’opera buffa s’intitola Italia".