BEATRICE RASPA, La Stampa 15/4/2011, 15 aprile 2011
Via da scuola perché è bella - Jamila e la colpa di essere troppo bella. La chiameremo così – il nome è di fantasia – la studentessa pakistana modello, allontanata da scuola dai genitori perché attira l’attenzione dei ragazzi
Via da scuola perché è bella - Jamila e la colpa di essere troppo bella. La chiameremo così – il nome è di fantasia – la studentessa pakistana modello, allontanata da scuola dai genitori perché attira l’attenzione dei ragazzi. Eppure Jamila non è una giovane ribelle. Veste l’abito tradizionale, ha capo coperto dal hijab. Rivendica solo il diritto di studiare e pensare al futuro. Troppo, evidentemente. A dispetto del velo, la sua bellezza suscita un interesse sconveniente per la famiglia, che per l’ennesima volta l’ha segregata in casa. E minaccia di rispedirla in Pakistan. Da due settimane non c’è traccia di Jamila. La scuola, un istituto professionale a Brescia, ha contattato ripetutamente i famigliari, ma nessuno risponde. In ansia, un professore ha scritto una lettera a un giornale locale, Bresciaoggi, sperando di lanciare un messaggio. La storia della studentessa prima della classe che accumula bocciature per le assenze protratte viene alla luce così. F.M., che insegna Storia e Italiano a 26 studenti di una Prima – 4 bresciani, gli altri da ogni parte del mondo – mette nero su bianco «il senso d’impotenza per una ingiustizia. Quando l’abbiamo vista sparire ci siamo detti “ecco, ci risiamo”» spiega il professore, che chiede l’anonimato per proteggere la privacy dell’allieva, «dolce, sensibilissima, dall’intelligenza cristallina, dalla voglia di studiare e di capire encomiabili». Dopo un avvio scolastico difficoltoso – ha qualche problema con la lingua italiana - si risolleva da sola, e a fine quadrimestre vanta una pagella immacolata. «Merito di una curiosità e di una costanza inarrestabili». Qual è dunque il problema? «I fratelli hanno saputo dell’interesse destato tra i compagni maschi». Jamila, infatti, pare faccia strage di cuori. Pur rimanendo defilata e muovendosi sempre in gruppo per non dare nell’occhio. Eppure anche una innocente e involontaria attrazione suscitata appare come una macchia sul curriculum di una donna promessa a un cugino che vive in Pakistan. Inconcepibile per una retriva cultura maschilista. «All’inizio sospettavamo l’avessero rispedita nel suo Paese – continua F.M., che ammette di aver lasciato almeno 40 messaggi sulla segreteria del telefono dei genitori -. Alle amiche aveva confidato di temere un rientro forzato. Invece da un paio di giorni si è scoperto che è relegata in casa. Le compagne le mandano ricariche di cellulare per evitare che rimanga isolata. Ogni tanto arrivano aggiornamenti via sms». Una punizione, dunque. Nonostante Jamila non sia Hina Saleem, la ventenne sua connazionale ribelle ai diktat del padre, che ha pagato con la vita l’autodeterminazione e ora è un simbolo per le giovani immigrate in lotta. «Jamila non è così. Appare rassegnata. Mi ha solo confidato che è duro essere pakistana: non si è libere di fare, di dire, di andare. Lei vorrebbe vivere per sé, invece le tocca vivere in nome dell’onore», aggiunge il professore. E’ difficile recidere i fili con il passato, una forza di gravità che risucchia. Così le spose promesse procedono a zig-zag, incerte tra desiderio di spiccare il volo e desiderio di essere accettate. Come è accaduto anche a Khatoon, giovane pakistana che alcuni mesi fa scappò da casa, a Brescia, per convolare a nozze in un paese della Bassa con il fidanzato da lei scelto, un indiano. Il padre per riaverla inscenò un sequestro (e venne denunciato). Ma lei, trascorso un periodo in una struttura protetta, è tornata a casa. E Jamila? «E’ già iscritta al prossimo anno. La speranza è che qualcuno si faccia vivo – si stringe nelle spalle il professore -: ha il permesso di soggiorno in scadenza, per il rinnovo serve l’attestazione di frequenza della scuola».