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 2011  aprile 15 Venerdì calendario

Dal calcio all’economia il lungo derby di Spagna - C’ è anche una quinta partita tra Madrid e Barcellona

Dal calcio all’economia il lungo derby di Spagna - C’ è anche una quinta partita tra Madrid e Barcellona. Non è nel calendario che, in solo diciotto giorni, vedrá per la prima volta quattro sfide consecutive tra gli eterni rivali del pallone, Real Madrid e Barça. Ma appassiona e divide la Spagna, provoca polemiche a non finire, campeggia sui media. In realtà, gli altri quattro match sono una metafora in salsa calcistica di questa tenzone, che li sussume tutti e che si gioca in altri stadi, dall’economia alla politica, dalla cultura ai servizi. In ballo c’è il trofeo più agognato: la leadership. Anche nella quinta sfida, allenatori e crack sono idoli: il socialista andaluso González (tifava Betis, della sua natale Siviglia), il conservatore Aznar (fan del concittadino Real Madrid), il socialista Zapatero (castigliano di Léon ma tifoso del Barça), il Molt Honorable President della Catalogna Pujol (il padre del nazionalismo di centro-destra catalano), i socialisti Maragall e Montilla, il nazionalista Más (quí c’è unanimità, sono tutti del Barça, conditio sine qua non per comandare la regione). La differenza è che il pubblico, il Paese, ha diritto al voto. E li elegge o li silura fregandosene dei gol al Bernabeu o al Camp Nou. Barcellona è un’aristocratica antica, colta e raffinata, fondata dai cartaginesi 2.241 anni fa. Madrid è una nobildonna giovane, vulcanica, molto spaccona, diventata Villa y Corte «solo» nel 1561, oltre che l’unica capitale d’Europa fondata dagli arabi. Già qui ci sono tutti gli ingredienti che spiegano le tifoserie scatenate, molto più accanite che quelle di «Culé» e «Merengues». La Catalogna era il volano economico. Ma da tempo Madrid la insegue e sta per farle le scarpe (il risultato dell’ultimo marzo registra un sostanziale pareggio: i catalani producono il 18,6% del Pil, i madrileni sono al 18). Madrid, con il tallone di ferro del franchismo, era molto centralista. Ma dal ritorno alla democrazia nel ‘78, ha ceduto potere alla Catalogna (il 50% del gettito complessivo dell’Irpef, il 50% dell’Iva, il 60% delle imposte speciali). Barcellona gestisce Interni, Sanità, Pubblica Istruzione, Magistratura. Ma non è mai contenta e continua a far infuriare le gradinate (meno le sue) con l’estenuante «federalismo asimmetrico» che vuole essere «Über alles». E con il suo separatismo: il 25% se ne vuole andare dalla Spagna. Pujol, il «re di denari» che vendeva il suo appoggio esterno a González o Aznar (dal ’93 al 2000), in cambio di percentuali sulle imposte e tasse, sottoponeva gli spagnoli al karaoke: lui parlava in catalano sempre, e la tv era costretta, per farlo capire, a tradurlo in sovraimpressione. Más, il suo delfino, in braghe di tela per via di un debito regionale colossale, adesso chiede a tutti i connazionali (nella lingua di Cervantes) di comprare i suoi bond patriottici al 4, 75% di interesse. Ma i fieri castigliani, che mai hanno perdonato l’affronto, gli hanno risposto picche: la sottoscrizione ha raccolto il 25% di 2,7 miliardi di euro offerti. Madrid, conservatrice dal 1989, sfoggia aeroporti da favola, il metro più efficiente e moderno d’Europa, vita culturale vivissima, servizi sociali all’avanguardia, persino Internet wifi (gratis) nei bus ad aria condizionata. Ed è la madre della movida. Barcellona, progressista da sempre, non mantiene il ritmo della capitale, fa restyling ma le rughe, a confronto con la dirompente freschezza di Madrid, si notano sempre più. Specchio dei tempi, i turisti vanno ormai più a Madrid che a Barcellona, alla quale è rimasto solo il Barça come modello vincente. E Zapatero, grande alleato e sponsor del trasferimento delle competenze, sta per ricevere il cartellino rosso dagli spagnoli. La Spagna (ed il mondo) staranno incollati alla tv da domani. Ma, anche se perdesse le quattro partite, Madrid ha già vinto quella che conta davvero: la quinta.