ALESSANDRA COMAZZI, La Stampa 13/4/2011, 13 aprile 2011
Il Paese dei cimiteri negli orti che non vuole scordare la guerra - Al Teatro Nazionale di Sarajevo va in scena un «Romeo e Giulietta» danzato: il coreografo Ronald Savkovic, croato, decide che alla fine i due innamorati si sposino e vivano felici e contenti
Il Paese dei cimiteri negli orti che non vuole scordare la guerra - Al Teatro Nazionale di Sarajevo va in scena un «Romeo e Giulietta» danzato: il coreografo Ronald Savkovic, croato, decide che alla fine i due innamorati si sposino e vivano felici e contenti. Non è opportuno, qui, rappresentare l’odio insanabile tra Montecchi e Capuleti. A Mostar, il ponte famoso è stato ricostruito, ma separa come una frontiera la parte croata e cattolica della città da quella bosniaca e musulmana. La diciottenne Malika, bosniacacroata-cattolica (e furono i bosniaco-croati, nel 1993, a tirar giù il ponte), racconta che quando era bambina ha provato ad attraversarlo, lo «Stari Most», ma portava al collo una catenina con la croce. Alcuni ragazzi bosniaco-musulmani l’hanno fermata e molestata, da allora non ci passa più. Al memoriale di Srebrenica i ragazzi musulmani arrivano a ondate. Li portano le scuole, con i pullman. Per non dimenticare il massacro dei musulmani bosniaci del luglio 1995. Erano ammassati in una fabbrica che si trovava sotto la tutela delle Nazioni Unite, le truppe serbo bosniache di Ratko Mladic li sterminarono. Il memoriale conta 8372 cippi, 8372 nomi, ma ci sono i puntini di sospensione, perché tanti resti non sono stati ancora identificati. E i serbi non ci vanno, a rendere omaggio a quelle vittime. Vanno nei memoriali loro. Ciascuno piange i propri morti. Le strade di città si affacciano spesso su fazzoletti di verde scanditi da tombe. Sotto i tiri dei cecchini era troppo pericoloso spostarsi per seppellire i caduti nei cimiteri, si usava la terra sotto casa. E’ rimasto tutto così. Le etnie, le religioni, si mescolano e si confondono in questo Paese martoriato dei Balcani: prima l’Occidente lo ha messo a sedere direttamente su una polveriera, grazie ai farraginosi accordi di Dayton. Poi lo ha dimenticato. La tensione è palpabile, le ferite laceranti sono aperte e pulsanti. Iconograficamente rappresentate dagli innumerevoli palazzi martellati dalle mitragliatrici, bucati dalle granate. Il Paese è diviso e povero, mancano i soldi per ricostruire, manca la volontà di superare le divisioni. Anzi. Prima della guerra la scuola pubblica era una sola, frequentata da tutti i bosniaci; adesso le scuole sono tre, con tre programmi diversi. Sempre atti a mantenere vivo il rancore, se non l’odio, verso i conterranei di altre appartenenze. Un Paese di neanche quattro milioni di abitanti è stato diviso in modo complicatissimo. C’è la federazione di Bosnia Erzegovina, con i cantoni (attenzione: mai dire in Erzegovina che si è in Bosnia), dove vivono in aspra pace musulmani e cattolici. Poi c’è la Repubblica Srpska, dove vivono i serbi ortodossi, e le scritte sono in cirillico; poi c’è l’autonomo Distretto di Brcko. In tutto questo, i primi a doversi muoversi con cautela sono proprio loro, gli ospitalissimi cittadini bosniaci. Molti parlano italiano, sono venuti in Italia durante il conflitto, alcuni sono rimasti. Tra loro Nela Lucic, attrice e protagonista di una puntata di «Radici», il programma di Davide Demichelis presto in onda su Raitre, dedicato ai migranti che in Italia si sono integrati. I bosniaci tutti criticano i loro infiniti governanti, e non vorrebbero doversi definire. Ma non possono esimersi. Dunque, questo ribollente periodo di pace porta con sé continue memorie di guerra. Che non sono unicamente nelle case martellate e nei cimiteri degli orti. Stanno nei ricordi, nelle parole. Sempre. Con chiunque si parli. Di qualunque cosa si parli. Di teatro: qui dietro, proprio qui, correva la linea del fronte. Di cinema: da quando è finita la guerra, Mostar non ha più un cinema. Di cucina: prima della guerra l’agnello lo cucinavamo così, adesso è tutto diverso. Di vino: ci sono due vitigni autoctoni, qui, siamo riusciti a preservarli dalla guerra. Guerra, sempre guerra. Silvana Grispino lavora per Oxfam, una organizzazione non governativa che, con il finanziamento del ministero degli Esteri italiano, si occupa dello sviluppo turistico e culturale della regione. Dice: «La guerra, la sua memoria, il suo mancato superamento non devono essere una scusa per non fare nulla. Il Paese è bellissimo, tutto da scoprire e da valorizzare». E così è appena uscita una guida, «Viaggio in Erzegovina», realizzata da due italiani innamorati dei Balcani Occidentali, Mario Boccia e Andrea Semplici, che racconta belle storie di cibi e contadini. E che non parla di guerra.