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 2011  aprile 15 Venerdì calendario

Limes, anno 3 n 2 La crisi libica ha attratto l’interesse degli italiani su questo paese a noi così vicino ma anche così lontano, vista la massa di errori e lacune emerse nelle scorse settimane sui mass media e nel linguaggio comune

Limes, anno 3 n 2 La crisi libica ha attratto l’interesse degli italiani su questo paese a noi così vicino ma anche così lontano, vista la massa di errori e lacune emerse nelle scorse settimane sui mass media e nel linguaggio comune. Riteniamo pertanto importante offrire alcune chiarificazioni su concetti, termini e dati, in modo da affrontare su basi meno imprecise il dibattito sorto intorno a quella che è stata definita «la guerra di Libia». Lo faremo elencando i punti principali del dibattito a mo’ di glossario, una modalità atipica per la nostra accademia ma molto comune per quella anglosassone. Aljazeera Molto si è scritto e detto sull’importanza e sulla rilevanza di questo canale televisivo e del suo omologo Alarabiya nonché sul ruolo di Internet nelle rivolte in Tunisia, Egitto, Libia e a seguire in molti paesi dell’area. È assodato che questi media abbiano svolto un’importantissima funzione pedagogica, istruttiva e formativa su un’intera generazione di giovani che grazie ad essi hanno avuto accesso a tecniche e idee altrimenti irraggiungibili. I giovani erano stati preparati psicologicamente e concettualmente a non accettare più passivamente l’autoritarismo e l’arbitrarietà del potere assoluto con i quali i loro padri convivevano da decenni. Tuttavia, il caso libico solleva alcune domande. C’è stata una sospetta sincronicità tra la massa di notizie allarmiste su massacri e scontri, in gran parte poi rivelatesi false o enormemente esagerate, e la velocità con la quale la Francia di Sarkozy ha preso posizione a sostegno degli insorti contro il regime di Gheddafi, chiedendone l’immediato deferimento alla Corte penale internazionale. Di fatto, con questa mossa i francesi hanno impedito ogni iniziativa diplomatica a favore di Gheddafi nonché ogni possibilità di negoziazione atta a prevenire la guerra. È e sarà sempre più importante indagare in modo approfondito l’operato di questi media per valutarne gli effetti sia positivi che negativi. ‘Bengàsi’ e non ‘Bèngasi’ (Bingāzī) Ridente città nel Golfo della Sirte, Bengàsi è da sempre il centro dell’opposizione libica al regime di Gheddafi. Per correttezza linguistica è bene sapere che l’accento cade sulla seconda sillaba, quindi sulla a, in quanto questa è nell’originale arabo la vocale lunga. È sbagliato mettere l’accento sulla e o sulla i finale. È quindi errata la pronuncia «Bèngasi» utilizzata da buona parte dei giornalisti e commentatori italiani. Fezzan (Fazzān) Regione meridionale della Libia interamente desertica, il Fezzan (Fazzān) è la porta d’accesso a tutti i traffici provenienti dall’Africa sahariana e subsahariana ancora oggi tenuta sotto il controllo di truppe ben armate fedeli al colonnello. All’inizio delle ostilità, in seguito ai primi successi dei ribelli bengasini, ci si era chiesti come mai Gheddafi non avesse richiamato le truppe del Fezzan per scagliarle contro i rivoltosi. Solo successivamente si è capito che, strategicamente, questi uomini erano molto più utili al Sud per tenere aperta la «porta meridionale» e permettere quindi un continuo afflusso di mercenari, armi e denaro dall’estero in maniera sicura e continua. È per questa ragione che l’embargo, tanto sbandierato dalle potenze occidentali come uno strumento utile a mettere pressione sul regime, è in realtà palesemente inefficace. […] Mercenari Fin da subito i media hanno accusato il regime di fare uso di mercenari. In particolare, mercenari africani sarebbero stati impiegati contro i pacifici dimostranti di Bengasi già dal secondo giorno delle rivolte. In realtà, si trattava di operai di origine congolese alle dipendenze di un imprenditore libico che alla vista dei dimostranti e temendo per la sicurezza del proprio cantiere erano stati inviati contro i manifestanti per spingerli a prendere un’altra strada. È invece vero che tra le brigate addette alla sicurezza personale di Gheddafi, vi siano decine di mercenari provenienti soprattutto dall’Est europeo e dalla Russia. Ed è vero che da decenni questi sono parte integrante delle stesse forze di sicurezza libiche. Tali mercenari sono stati visti, sin dall’inizio, pattugliare le strade di Tripoli insieme agli elementi libici delle brigate di sicurezza. Nella seconda fase, quella della controffensiva del regime sono stati impiegati anche mercenari assoldati solo di recente in alcune capitali africane. […] Qā id (e non ra ’īs) Riferendosi al colonnello Gheddafi, è corretto utilizzare l’appellativo Qā id non ra’īs come avviene abitualmente nei media nazionali e intemazionali. Nel 1977 fu lo stesso colonnello ad autoproclamarsi Qā id al-tawra (Guida della Rivoluzione), che ricorda il titolo di Guida Suprema caro alla rivoluzione iraniana del 1979. Questo termine indica il carattere innovativo della leadership di Gheddafi. Egli si poneva infatti non come un capo in senso stretto (ra’īs), ma come una vera e propria guida spirituale e politica della comunità. Il colonnello da sempre si contraddistingue per l’originalità del suo operato, enfatizzandolo anche attraverso la creazione e l’utilizzo di termini diversi da quelli ricorrenti nel mondo arabo. Il termine Gamāhiriyya, ad esempio, è una parola creata da Gheddafi. Si tratta di un neologismo che riprende il concetto della radice araba ja-m-ha-ra (radunare, riunire una folla) e che suona come «repubblica delle masse popolari». Esso si differenzia dal concetto più diffuso di Gumuhiriyya, ovvero repubblica, che indica la maggioranza delle repubbliche del mondo arabo. Regime Gheddafi è salito al potere nel 1969 per rispondere a una precisa esigenza: quella che la Libia entrasse a far parte del mondo arabo di Gamal ‘Abd al-Nāsir (Nasser) e uscisse dal novero delle nazioni filoccidentali «asservite al colonialismo capitalista». La popolazione libica, fatta eccezione per le famiglie del vecchio notabilato tripolino e di alcune delle tribù e famiglie fedeli alla monarchia senussita, accolse con favore il giovane rivoluzionario, i suoi colleghi militari e le sue idee panarabe, antisioniste e socialiste. Questa legittimità, con gli anni, soprattutto dopo il duro embargo a cui fu sottoposta la Libia negli anni Novanta, venne gradualmente meno. Ma sostenere la totale mancanza di consenso al regime, se non addirittura la totale opposizione della popolazione, non corrisponde al vero. Come si è visto in questa crisi, malgrado la propaganda quasi unanime dei media in direzione contraria, una buona parte del popolo della Tripolitania e del Fezzan ha continuato ad appoggiare il regime. Regioni Le differenze regionali, soprattutto quelle tra Cirenaica e Tripolitania, sono state largamente sottovalutate dai media. In realtà questo è un elemento caratterizzante del paese, sebbene apparentemente ciò non sia avvertito dagli stessi libici, i quali infatti sostengono che queste differenze sono state diluite negli ultimi anni. Il fatto che il regime, messo in difficoltà dalle rivolte, abbia fatto appello al senso di appartenenza regionale dei suoi sostenitori è prova più che rilevante del contrario. Il regime di Gheddafi ha privilegiato la regione della Tripolitania rispetto a quella della Cirenaica e ciò ha sicuramente motivato il risentimento della popolazione di questa provincia nei confronti del qā’id. Non è un caso che la maggior parte delle rivolte contro il regime abbia avuto origine nel corso del suo lungo dominio proprio nella regione della Cirenaica. Qui è nata anche l’ultima rivolta, immediatamente presentata dal regime come «regionale». Così facendo Gheddafi ha guadagnato consenso, o quanto meno ha provocato la diffidenza della popolazione della Tripolitania nei confronti della rivolta. Rivolta Ancora moltissimo resta da chiarire sulla genesi della rivolta. Secondo la vulgata comune, la popolazione di Bengasi, così come quella di altre piccole città della Cirenaica, sarebbe insorta spontaneamente. Nel «giorno della collera», la polizia avrebbe aperto il fuoco sui manifestanti causando morti e spingendo i ribelli ad attaccare le caserme. I rivoltosi avrebbero sbaragliato i soldati, conquistato le stesse caserme e distribuito le armi alla popolazione. Da quel momento, decine di ufficiali e soldati dell’esercito libico e della polizia, disgustati dalla repressione e dalla mancanza di scrupoli da parte delle forze del regime – supportate da non meglio precisati mercenari africani – avrebbero cominciato a disertare: primo fra tutti l’ex ministro dell’Interno ‘Abd al-Fattāh Yunis. Esiste però un’altra versione, che non deve essere necessariamente vista come la versione del regime. Nei mesi precedenti l’autunno del 2010 contatti informali sarebbero avvenuti tra personalità libiche del regime, e/o vicine allo stesso e personalità dei servizi segreti e dell’amministrazione francese. Agenti e militari francesi sarebbero stati inviati in Cirenaica in segreto, nascosti tra operai e dirigenti di aziende francesi, con lo scopo di creare un network e preparare la rivolta. Gommando ben addestrati avrebbero attaccato una o più caserme impossessandosi di armi ed equipaggiamenti immediatamente distribuiti ai rivoltosi sin dai primi giorni. Con questi equipaggiamenti la pacifica rivolta si sarebbe immediatamente trasformata in un’insorgenza armata. Le personalità libiche sopra citate sarebbero immediatamente passate, come da accordi presi con i francesi, dalla parte dei rivoltosi con l’appoggio di personalità libiche residenti all’estero quali il noto esponente del regime ‘Abd al-Rahmān Şalgam, l’ex ambasciatore libico ‘Ali ‘Ugali e altri. Nel frattempo il quadro internazionale subiva una strana accelerazione. Allo stupore americano si contrapponeva il decisionismo francese appoggiato dalla Gran Bretagna di David Cameron. Sostenuto dalla massiccia campagna dei media internazionali guidati dalla tv araba Aljazeera, il presidente francese Nicolas Sarkozy dichiarava immediatamente il sostegno del suo paese agli insorti e otteneva di far deferire il leader libico Gheddafi alla Corte penale internazionale come criminale di guerra. Con tale atto Sarkozy impediva di fatto qualunque iniziativa diplomatica volta a permettere una fuga di Gheddafi simile a quella di Ben Ali (Bin ‘Ali) in Tunisia, o un prepensionamento stile Mubarak in Egitto. Da notare che tale iniziativa francese veniva presa senza alcuna evidenza oggettiva dei fatti criminosi, se non quella riportata da Aljazeera. L’attivismo franco-inglese non si fermava qui, ma proseguiva tirando per la giacchetta gli americani e altri alleati al fine di ottenere un intervento armato internazionale. Ai più è apparso subito evidente come lo scopo umanitario altro non fosse che la foglia di fico dietro la quale nascondere interessi politici ed economici ben più materiali. Tutto questo, nella più completa assenza dell’Italia. Rivoltosi/Ribelli/Insorti Pochi giorni dopo l’inizio delle rivolte si costituiva a Bengasi il Consiglio nazionale libico di transizione con a capo l’ex ministro della Giustizia del regime Mustafā Muhammad ‘Abd al-Galīl. Il Consiglio dichiara di essere composto da 31 personalità provenienti da tutte le regioni della Libia. Di fatto però solo i 9 membri provenienti dalla Cirenaica sono stati nominati. Il Consiglio resta in attesa della liberazione di tutti i territori ancora sotto il controllo di Gheddafi per rivelare i nomi degli altri mèmbri. Malgrado le innumerevoli dichiarazioni contrarie, caratteristica del Consiglio resta la sua connotazione preminentemente cirenaica e il fatto di essere in parte composto da mèmbri provenienti dalle alte gerarchie del regime di Gheddafì. Tribù Sui media italiani e anche su buona parte dei media stranieri, si fa riferimento alla Libia come a una società tribale. Questo termine è associato dal comune lettore alle tribù dei nativi americani rappresentate in tanti film western dove gruppi di giovani uomini danzano attorno a un totem sotto i saggi occhi di un anziano capo e la guida dello sciamano, tra le gioiose uria di donne e bambini. La realtà libica è completamente differente. La tribù libica va vista come un insieme di famiglie e di clan molto più simili alla realtà sociale dell’Italia meridionale piuttosto che a quella dei nativi americani. L’influenza di tali tribù sui loro mèmbri, forte agli inizi del secolo scorso, è venuta negli ultimi anni progressivamente a scemare a seguito di un intenso processo di urbanizzazione. In particolar modo, il fattore demografico – ormai più del 50% della popolazione libica ha meno di 35 anni – ha comportato una differenziazione generazionale e quindi un’ulteriore perdita di influenza da parte dei leader tribali sui giovani libici. Quegli stessi giovani, appartenenti a diversi gruppi sociali, che oggi prendono parte alle rivolte superando le tradizionali divisioni tribali. Karim Merzan