Cristina Marrone, Sette 14/4/2011, 14 aprile 2011
PER INCASTRARE I CRIMINALI LA SCIENZA COLTIVA CADAVERI
“Hic est locus ubi mors gaudet succurrere vitae” è la scritta che troneggia all’ingresso del Teatro Anatomico dell’Università di Padova, davanti alla sala settoria della Facoltà di Medicina di Napoli e in molti altri atenei dove si studiano materie scientifiche. Tradotta letteralmente significa: “È questo il luogo dove la morte ha piacere di soccorrere la vita”. Non solo per addestrare i futuri medici a riconoscere gli organi, a identificare le malattie o le cause del decesso. Al di là dell’Atlantico, in Tennessee ci sono antropologi forensi che studiano la lingua segreta dei morti per riuscire a condannare i colpevoli e a liberare gli innocenti. Dietro al Dipartimento di Antropologia, a Knoxville, si trova un boschetto con grandi alberi ed erba verde, attraversato da un ruscello e popolato da procioni e uccellini. In mezzo, sotto il sole, ma anche all’ombra delle piante, ci sono persone sdraiate. Sono morte. Ma avevano deciso di donare il proprio corpo per aiutare i progressi della Medicina legale. Quello del Tennessee, fondato nel 1981 da Bill Bass, un mito dell’antropologia forense, è il primo centro di ricerca en plein air riservato allo studio dei cadaveri: The body farm, La fabbrica dei corpi, che nel 1994 ha ispirato un romanzo di Patricia Cornwell.
GLI STESSI GESTI DI UN KILLER
Se si conosce il processo di decomposizione con le varie fasi biologiche e chimiche, la loro durata, l’influenza dell’ambiente circostante, è possibile determinare da quanto tempo una persona è morta arrivando a stabilire il giorno e perfino l’ora approssimativa del decesso. Cosa abbastanza semplice in casi recenti, ma se la morte risale a più di tre giorni gli inquirenti per orientarsi devono rivolgersi agli indici entomologici (da quanto tempo le larve hanno attaccato un corpo?) e valutare una serie di fattori: il clima, l’ambiente, i vestiti e molto altro. I corpi sono lasciati all’aria aperta: coperti da teli, sotto il sole, all’ombra, semisepolti, sotto lastre di cemento, nel fango, con ferite, carbonizzati, abbandonati in automobile o in sacchi neri. Tutto quello che un killer potrebbe fare per sbarazzarsi di un cadavere gli antropologi del Tennessee lo hanno fatto.
in italia si studiano i suini
«Abbiamo certamente aiutato la polizia a risolvere un sacco di crimini e a mettere un po’ di cattivi in prigione», dice orgoglioso Bill Bass, che a 85 anni tiene ancora molte conferenze raccontando i casi che hanno fatto scuola, dal serial killer chiamato l’Uomo dello Zoo al caso di Madison Rutherfort, quarantenne americano che simulò la propria morte nell’incendio di un’auto per truffare l’assicurazione. Il mucchietto di ossa carbonizzate appartenevano però a un bracciante messicano tra i 50 e i 60 anni. A Bill Bass piace ricordare come tanti anni fa era nata l’idea della Body Farm. Nel 1977 concluse che un corpo “ancora roseo” con una ferita da arma da fuoco alla testa era morto da circa un anno. Errore. In realtà si trattava di William Shy, colonnello nella guerra di secessione, ucciso in battaglia e sepolto in una bara di piombo ben sigillata. «Insomma», sorride Bass, «mi ero sbagliato di appena 113 anni! Compresi quanto siamo ignoranti sulla morte. Capii che il solo modo per rimediare era lasciare marcire un corpo e osservarlo».
Ogni anno la Body Farm riceve un centinaio di corpi di persone che hanno scelto di aiutare la scienza, ma non accettano cadaveri che hanno contratto il virus dell’Aids, epatite, tubercolosi, che evidentemente potrebbero influire sul processo di decomposizione.
In Italia laboratori a cielo aperto come questi non sono ammessi, tuttavia esiste una piccola Body Farm nel parco del Ticino fondata un anno e mezzo fa dal Labanof (Laboratorio di antropologia e odontologia forense), che studia la decomposizione dei maiali, animale più simile all’uomo per tipo di tessuti e peso. «Utilizziamo solo maialini schiacciati appena nati o quelli destinati all’inceneritore dopo le sperimentazioni», mette le mani avanti Davide Porta, responsabile tecnico del Labanof, diretto dall’antropologa forense Cristina Cattaneo che ha seguito l’autopsia su Yara Gambirasio. «Al momento sono una ventina gli animali seppelliti», spiega Porta, «ma per poter studiare la decomposizione all’aria aperta dovremmo avere a disposizione un campo recintato e un mucchio di autorizzazioni. Una vera Body Farm come in Tennessee non la vedremo molto presto, ma noi riusciamo comunque a studiare molto bene che cosa succede sotto terra: geologi, entomologi, botanici e antropologi lavorano tutti insieme per questo scopo».
La memoria di quello che è accaduto si conserva infatti nel terreno ed è possibile capire, per esempio, se un corpo è stato spostato. Decomponendosi i cadaveri perdono cinque tipi di acidi grassi, che variano con il passare dei giorni. Il loro esame, unito a quello su alcune piante che crescono più rigogliose, può dire da quanto tempo un corpo giace in un particolare luogo. Addirittura il suolo può rilevare la presenza di un cadavere anche se è stato spostato o distrutto perché la macchia lasciata dagli acidi può permanere fino a due anni.
Attualmente, nel campo di diecimila metri quadrati dietro l’Università di Knoxville ci sono lavori in corso: «Ci stiamo allargando», annuncia il sito dell’Università. Bill Bass però non ha ancora deciso cosa farà quando toccherà la sua ora. Donerà il suo corpo alla sua Body Farm? «Lo scienziato che è in me vorrebbe firmare la donazione, ma il resto di me non riesce a dimenticare quanto odia le mosche».