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 2011  aprile 14 Giovedì calendario

L’ATOMO DEL PAESE ACCANTO - I

tedeschi che vivono lungo il fiume Isar non avevano paura del nucleare. Tra i boschi della Baviera al massimo si evocavano storie sui criminali nazisti (da Goring a Von Ribbentrop) le cui ceneri sono state sparse nelle acque di questo affluente del Danubio.
Solo da un mese si è scoperto che il vero "mostro del fiume" era il vecchio reattore Isar 1, un cugino, non tanto alla lontana, di quelli distrutti a Fukushima. Stessa tecnologia (i boiling water reactor), circa la stessa età. Come i suoi omologhi giapponesi, Isar 1 aveva appena ottenuto un allungamento della licenza, cioè avrebbe potuto funzionare per altri 12 anni evitando la pensione dopo 35 anni di onorato servizio. Invece è stato chiuso in tutta fretta due settimane fa insieme ad altri sei "vecchietti" nel resto della Germania considerati insicuri.
Il "mostro" bavarese è a 250 Km dalle località turistiche delle Dolomiti, da Cortina d´Ampezzo a Bressanone. La stessa distanza di Tokyo da Fukushima. Non è un caso isolato, al di là delle Alpi si estende una corona di 13 centrali con ben 29 reattori tutti all´interno di un raggio di 250 km dai nostri confini. Si parte dalla nuclearissima Francia (6 centrali con 18 reattori) per chiudere con la Slovenia (1). In mezzo Svizzera (4 centrali, 5 reattori) e Germania (2 centrali e 5 reattori). L´età media è di 30 anni. Mentre l´Italia era felice della sua denuclearizzazione, gli assedianti sono aumentati e ora iniziano a mostrare la loro età.
L´incidente giapponese ci ha ricordato, come accadde con Cernobyl, che i radionuclidi non conoscono frontiere, le radiazioni viaggiano con i venti, la pioggia li deposita su verdure e foraggio. Insomma, poco s´interessano delle scelte energetiche dei singoli Stati. Per gli italiani a molte illusione: che il referendum dell´87 ci abbia messo al riparo dalle conseguenze di un incidente nucleare, e che basti ribadire la scelta a giugno prossimo per abbandonare ogni ansi. Anzi c´è una scuola di pensiero che vede proprio in questi impianti limitrofi un´occasione per evitare di costruirne di nuovi sul nostro territorio senza rinunciare ai bassi costi dell´elettricità. A Krsko in Slovenia, a soli 130 km da Trieste, da anni si tratta per raddoppiare il reattore esistente con capitali italiani, la regione Friuli Venezia Giulia sostiene che sarebbe un modo per renderla più sicura, le associazioni ambientaliste invece contestano i numerosi malfunzionamenti che colpiscono la centrale, gli ultimi due il 26 marzo scorso.
Nemmeno i reattori francesi ci lasciano tranquilli. Nel 2008 a Tricastin una grande quantità di liquido, contenente 78 chili di uranio finì in un ruscello vicino inquinando la falda freatica e bloccando pesca e coltivazioni. Ora le preoccupazioni si concentrano su Fessenheim, due reattori in linea dal ´77, proprio nel cuore della vecchia Europa, su una faglia sismica. La città di Strasburgo ha chiesto di chiuderla subito, lo ha fatto anche la città di Basilea. Un incidente di livello 1 il primo aprile ha portato al blocco automatico, difficilmente la centrale sul Reno supererà gli stress test che l´Europa ha predisposto sui suoi 143 reattori anche se le regole sulla sicurezza non sono uniformi.
Il vero punto dolente è la Svizzera: se seguisse anche solo i regimi europei più blandi avrebbe dovuto spegnere già tre reattori su cinque. La centrale di Mühleberg, nel cantone di Berna, ad un centinaio di Km dal confine con il Piemonte, è in funzione dal ‘72, dovrebbe essere chiusa definitivamente alla fine dell´anno prossimo. Seguendo l´esempio di Germania e Spagna anche nella Confederazione si puntava ad un allungamento, ora la questione sarà risolta con un referendum nel 2013. La spinta a mantenere le centrali in funzione è per lo più economica: sono impianti già ammortizzati e che producono elettricità a prezzi bassissimi. Fukushima ha chiarito come si tratti di una scorciatoia ricca d´incognite: i sistemi di sicurezza concepiti più di 40 anni sono sempre meno all´altezza degli standard odierni. Si parla di eventi naturali ma anche di minacce terroristiche e di una densità abitativa che è aumentata esponenzialmente negli ultimi decenni. I piani di evacuazione ora interesserebbero centinaia di migliaia di persone. Inoltre per quanto la manutenzione possa fare miracoli, una centrale può subire solo modifiche parziali mentre la struttura subisce il peso degli anni. È un argomento spesso usato dai nuclearisti per dimostrare la sicurezza degli impianti: le centrali ai nostri confini hanno accumulato 869 anni di funzionamento senza grandi guasti, ma la considerazione può essere ribaltata. Dopo quanti anni le stesse strutture devono essere rimpiazzate per evitare rischi eccessivi? Una domanda scomoda specie se tutti decidono di far funzionare i propri impianti più del previsto.
È un dilemma politico che nessuno sembra in grado di sciogliere in maniere coerente: la Francia usa gli eventi di Fukushima per ribadire che le centrali più vecchie vanno sostituite al più presto con nuove di terza generazione (di cui sono i maggiori costruttori), ma gli Epr transalpini costano tantissimo (5-7 miliardi l´una) a cui bisogna aggiungere le risorse necessarie per smantellare l´esistente, cifre che secondo il ministro Giulio Tremonti stanno facendo maturare sui bilanci pubblici europei una cambiale da centinaia di miliardi.
La Germania con l´incidente giapponese ha colto l´occasione accelerare sul suo addio all´atomo, ma ogni sostituto ha delle controindicazioni. La scelta più sicura e immediata è passare alle centrali a gas (lo farà anche il Giappone), ma significa condannarsi alle dipendenza da Russia e Nordafrica. Usare, dove sarà possibile, le rinnovabili per sostituire il nucleare segnerà una battuta di arresto ai programmi di riduzione dei gas serra nell´atmosfera per combattere il cambiamento climatico: entrambe le fonti hanno emissioni quasi nulle e quindi in termini di CO2 prodotta sono equivalenti.