Massimo Fini, Libero 14/4/2011, 14 aprile 2011
NON MI LEGGONO NEMMENO E RISCHIO UNA FATWA...
Le talebane Maria Giovanna Maglie, Souad Sbai e compagne farebbero bene a documentarsi meglio e magari a leggere i libri che vogliono mandare al rogo prima di scrivere sciocchezze pericolose e prendere iniziative grottesche.
1) Il Mullah Omar non è mai stato «amico e complice degli ayatollah iraniani». Al contrario, l’Iran è stato sempre ferocemente avverso ai Talebani e insieme alla Russia del massacratore Eltsin (250 mila ceceni eliminati su una popolazione di un milione) ha rifornito di armi Massud che li combatteva e nel cui territorio peraltro, il Panshir, vigevano leggi nei confronti delle donne non diverse da quelle che c’erano sotto il governo talebano.
2) Il Mullah Omar non ha mai teorizzato l’inferiorità della donna. Le donne le ha sempre difese, a modo suo, secondo la sua cultura. La sua carriera da leader comincia proprio perché, in più occasioni, intervenne per liberare delle ragazze che erano state rapite dai mujaheddin per potersele stuprare a loro piacere. Dirà il giovane Omar, all’inizio del suo movimento: «Come potevamo starcene tranquilli mentre si commettevano tanti crimini contro le donne e la povera gente?». Tutte le donne che sono state fatte prigioniere dai Talebani, dall’inglese Yvonne Ridley alla francese Celine Condeller, hanno sempre dichiarato di essere state trattate dai loro carcerieri «con rispetto e cortesia».
3) Il burqua non è un’invenzione talebana, ma un antichissimo costume che riguarda vaste aree dell’Asia Centrale e del Medio Oriente. I Talebani imponevano solo lo jihab, il velo islamico, come in tanti altri Paesi musulmani. Negli anni ’80, quando ero nell’Iran khomeinista, la graziosa Talebeh, che dirigeva un bel giornale fatto solo da donne, Donna di giorno, molto agguerrito contro il regime, mi disse: «Il velo è un’ossessione occidentale, altri sono i problemi della donna islamica».
4) Il Mullah Omar non è mai stato un terrorista. I Talebani bin Laden se lo era no trovato in casa. Viera arrivato due anni prima che nascesse il loro movimento, chiamato da Massud perché lo aiutasse a combattere un altro “signore della guerra”, Heckmatyar. Quando Clinton propose a Omar di eliminare il Califfo saudita, il Mullah si disse d’accordo. Fu il presidente americano, che pur aveva avanzato la proposta, a tirarsi indietro, inspiegabilmente, all’ultimo momento (Documento americano del Dipartimento di Stato del 2008).
Non capisco come queste signore, nessuna delle quali mi risulta sia afghana, si permettano di parlare a nome delle donne afghane. Il giornalista del Guardian Jonathan Steele in un suo recentissimo reportage dall’Afghanistan, La terra dei Taliban, scrive: «A Kabul ho intervistato diverse professioniste, la categoria che ha sofferto di più per i limiti imposti dai Taliban all’istruzione femminile e al lavoro fuori casa. Erano quasi tutte favorevoli all’idea di dialogare con i Taliban. Mi hanno detto che i Taliban sono dei veri nazionalisti che avanzano richieste legittime e non possono essere esclusi dalle trattative... Inoltre hanno sottolineato che è venuto il momento di liberarsi di tutti gli stranieri, sia degli jihaidisti internazionali che degli imperialisti americani».
5) Io ho dedicato il mio libro a Matteo Miotto, un ragazzo italiano morto in Afghanistan, ucciso in battaglia. Ma non c’è dubbio che soldati stranieri in armi in un Paese che non è il loro siano degli invasori e degli occupanti. Così li considera la maggioranza della popolazione afghana, simpatizzi o meno per i Talebani.
6) La guerra all’Afghanistan ha provocato 60 mila vittime civili, fra cui moltissime donne e moltissimi bambini. Secondo un rapporto dell’Onu del 2009 la maggioranza di queste vittime è stata provocata dai raid aerei della Nato. Le talebane Maglie and company dovrebbero andare a chiedere a queste povere morte se sono contente della nostra “liberazione”.
7) Insultare l’Occidente – ammesso che io lo abbia fatto – non è ancora un reato. Almeno fino a quando non ci governeranno le signore Maglie e le signore Sbai. Accettare le idee degli altri, anche quando ci paiono aberranti, dovrebbe essere l’essenza della democrazia. È il prezzo che la democrazia, se intende essere tale, paga a se stessa. Altrimenti diventa un totalitarismo come un altro. La Maglie e compagne si dichiarano «contro la censura e per la libertà», ma intanto tentano di intimidirmi e di impedire la libera circolazione del mio libro. La loro iniziativa mi sembra molto simile a quella che gli integralismi islamici presero nei confronti di Oriana Fallaci o contro quel vignettista danese che non aveva trattato Maometto con il dovuto rispetto o contro Salman Rushdie per i suoi Versetti satanici. Ancora un passo e la Maglie, la Sbai e compagne, campionesse di libertà, mi lanceranno una fatwa.
Massimo Fini