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 2011  aprile 14 Giovedì calendario

STORIE DI EMIGRAZIONE GLI STATI UNITI E L’ITALIA

Mi domando: agli inizi dello scorso secolo o anche prima, se all’Italia fosse stato chiesto di bloccare la partenza degli emigranti, come si sarebbe comportata? Avrebbe impedito la partenza dei piroscafi per gli Usa, l’America del Sud o l’Australia, e come? Non si può impedire l’arrivo «nella terra promessa, nel paese di bengodi» di persone che aspirano a un lavoro, a un tenore di vita migliore, a tentare di vincere la sfida per un futuro dignitoso per sé e per i propri cari. E comunque un modo ci sarebbe per far sì che migliaia di cittadini stranieri non tentino con ogni mezzo di entrare nel nostro Paese. Basterebbe, forse, diffondere messaggi e immagini di italiani, diplomati e laureati privi di occupazione, che non disdegnano di andare a raccogliere arance, meloni, pomodori, mungere le vacche, accudire le persone anziane e via discorrendo. Invece l’unico messaggio che mandiamo è quello di «ragazzi» ultratrentenni che, pur privi di qualsiasi introito, riempiono le discoteche, fanno la fila per l’ora dell’aperitivo, riempiono le liste elettorali e vengono eletti, eccetera. Davvero gente che non ha nemmeno un tozzo di pane per sfamare la famiglia non dovrebbe venire a raccogliere le briciole di cotanto benessere?
Giuliano Sassa
Milano
Caro Sassa, non è facile confrontare due avvenimenti di cui il primo è reale e attuale, mentre il secondo appartiene a un passato ipotetico e improbabile. Agli inizi del Novecento né gli Stati Uniti né i Paesi dell’America Latina avrebbero mai chiesto all’Italia, all’Austria-Ungheria, al Regno Unito (da cui partivano gli irlandesi e scozzesi) o alla Russia zarista (da cui partivano soprattutto gli ebrei) di trattenere in patria i cittadini ansiosi d’immigrare. Quei Paesi erano sottopopolati e avevano bisogno di braccia per la loro industria e la loro agricoltura. Perché avrebbero dovuto chiedere all’Italia d’impedire la partenza dei suoi emigranti? Le limitazioni verranno più tardi, soprattutto negli Stati Uniti, quando alcuni gruppi di pressione si batteranno per un’America «wasp» (white, anglo-saxon, protestant — bianca, anglosassone e protestante) e il governo risponderà adottando un sistema di quote annuali destinate ai singoli Paesi di provenienza. Oggi l’America ha problemi d’immigrazione illegale molto più gravi, quantitativamente, di quelli di qualsiasi Paese europeo. Le sue frontiere marittime sono relativamente sicure, ma quelle terrestri, nonostante il muro costruito lungo il confine messicano, sono straordinariamente porose e il numero dei clandestini che lavorano negli Stati Uniti avrebbe toccato, in alcuni momenti, i dieci milioni. Lei ha ragione quando osserva che l’Italia sarebbe meno attraente per i giovani nordafricani se i suoi cittadini accettassero di fare mestieri manuali, umili e faticosi. Ma il problema non è soltanto italiano. Negli ultimi decenni tutti i governi europei si sono prodigati per elevare lo stato sociale dei loro cittadini e hanno raggiunto complessivamente risultati positivi. Per coloro che provengono dai ceti «inferiori» il diploma o la laurea sono una promozione sociale che autorizza maggiori aspettative. Un mestiere umile, quindi, è percepito come una sorta di retrocessione. Non è realistico pensare che l’immigrazione possa essere fermata con un ritorno della società italiana al passato. Il solo modo per affrontare il problema è quello di raddoppiare la crescita economica. Finché cresceremo dell’ 1%saremo condannati ad avere contemporaneamente immigrazione e disoccupazione
Sergio Romano