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 2011  aprile 14 Giovedì calendario

PRIMA RAPITO, POI TRUCIDATO. IL DELITTO CHE INQUIETA PALERMO — È

stato un omicidio in due tempi. Prima l’hanno fatto sparire, e per due giorni s’è parlato di «lupara bianca» . Poi hanno fatto ritrovare il cadavere seminudo, addosso solo le mutande, incaprettato e chiuso nel bagagliaio di un’auto rubata. Delitto di mafia alla vecchia maniera, vittima scomparsa e poi riconsegnata con mani e piedi legati col filo di ferro, come si faceva nella guerra degli anni Ottanta. Modalità eclatanti che hanno tutta l’aria di un messaggio: dopo un lungo di silenzio e trame sottotraccia, a Palermo Cosa nostra è tornata a uccidere. Non con qualche colpo di pistola — com’era successo per l’ultimo delitto di peso in città, quello del boss Nicola Ingarao, freddato nel 2007 all’uscita del commissariato dove aveva l’obbligo di firma — ma secondo i rituali più antichi ed eloquenti. Davide Romano era relativamente giovane, aveva 34 anni. Ma il suo cognome, nel centrale quartiere del Borgo Vecchio, ha una storia più lunga del suo certificato penale, non certo immacolato. Aveva scontato una condanna per mafia e droga, a fine febbraio era uscito di galera. Pure uno dei suoi fratelli è passato dal carcere. Ma è soprattutto la vicenda del padre a inserire quel cognome nelle vicende di Cosa nostra: nel 1995 Giovan Battista Romano, boss del Borgo a sua volta coinvolto nei traffici di droga, fu preso, strangolato e sciolto nell’acido. A decidere e commettere l’omicidio, secondo i pentiti e le sentenze, furono tra gli altri nomi importanti dell’onorata società: da Leoluca Bagarella, cognato di Totò Riina, a Vittorio Mangano, lo «stalliere» assunto da Silvio Berlusconi nella villa di Arcore negli anni Settanta. La vittima era accusata di essere stato un confidente di Giovanni Falcone; magari aveva fatto qualche soffiata a uno degli investigatori che lavoravano con il giudice, ma i tribunali della mafia fanno in fretta ad allestire processi ed eseguire condanne. Due anni dopo l’eliminazione di Giovan Battista Romano, nel 1997, in una strada del Borgo vecchio fu ammazzato Leopoldo Cancelliere, anche lui legato ai traffici delle cosche palermitane. Voci dall’interno di Cosa nostra che non trovarono riscontri giudiziari riferirono che fra i killer c’era pure Davide Romano, convinto che Cancelliere avesse partecipato all’omicidio del padre. L’accusa non venne nemmeno formalizzata per quello che all’epoca era ancora poco più che un ragazzo, appena ventunenne. Scattarono negli anni successivi, invece, le indagini per associazione mafiosa, estorsioni e droga, e poi gli arresti e le condanne. Scontate fino alla scarcerazione del febbraio scorso. Che cosa può aver combinato in poco più di un mese Davide Romano per finire assassinato come suo padre? È l’interrogativo a cui devono rispondere inquirenti e investigatori, chiamati a scoprire killer e mandanti, e a capire se a Palermo sta per scoppiare una nuova guerra di mafia dopo un lungo periodo di relativa tranquillità e l’arresto di quasi tutti i latitanti eccellenti. Uno ancora in libertà, e accreditato fra i più importanti e pericolosi, è un nome quasi sconosciuto alle cronache nazionali: Antonino Lauricella detto ’u Scintilluni, boss del quartiere Kalsa. E c’è un ipotetico filo che lo lega al delitto. A poche ore dalla scomparsa di Romano, lunedì 4 aprile, un uomo armato di una pistola calibro 7,65 col silenziatore montato è stato sorpreso nel cuore della notte nell’androne di un palazzo; quasi certamente stava tendendo un agguato, le luci condominiali svitate per garantirsi l’oscurità. Quell’uomo è un signore di 67 anni, Nicolò Pecoraro, altre storie di droga alle spalle; conosceva Davide Romano ed era buon amico di suo padre Giovan Battista. Nel palazzo dov’era appostato Pecoraro (probabilmente c’erano due complici fuggiti all’arrivo della polizia allertata, ufficialmente, da un cittadino che aveva notato movimenti sospetti) abita un altro nome noto agli investigatori, Giuseppe Ruggeri, genero di ’u Scintilluni, arrestato nel 2008 insieme a Romano in un’operazione antidroga: solitamente, per il lavoro che svolge, esce di casa all’alba. L’ipotesi più accreditata fra gli inquirenti è che Pecoraro volesse vendicare Romano, prima ancora del ritrovamento del cadavere. Che avesse fatto una brutta fine, amici e familiari l’hanno intuito subito; non vedendolo rientrare la moglie ha chiesto ai carabinieri se l’avessero arrestato, e dopo la risposta negativa c’era solo da individuare il movente della morte. Equilibri mafiosi scombussolati dal ritorno in campo della vittima o una più «semplice» storia di droga, legata a nuove attività o a rancori per vecchi fatti? Se Pecoraro lo sa, non lo dice. Almeno per ora. La modalità dell’esecuzione e del ritrovamento — un proiettile 7,65 alla nuca e l’incaprettamento — fanno pensare al rituale mafioso, forse legato a qualche dinamica interna violata. «La lettura più logica è l’inasprirsi della conflittualità fra le due famiglie che erano e sono quelle forti di Cosa nostra a Palermo — ha spiegato il procuratore aggiunto di Palermo Ignazio De Francisci —. È ipotizzabile un braccio di ferro cruento per contendersi la leadership interna all’organizzazione» . Ma la personalità dei protagonisti, tutti legati al traffico degli stupefacenti, rendono plausibile anche una lettura più minimalista. Che però non spiega la spettacolarizzazione del delitto. Due giorni dopo la scoperta del cadavere di Romano, al Borgo Nuovo è stato ucciso Claudio De Simone, quasi certamente per motivi di droga. Un omicidio avvenuto in strada, tre colpi di pistola e via. Così si regolano quel tipo di conti, mentre a Davide Romano è stata riservata un’altra sorte, ben più espressiva. È allora possibile — nonostante tra gli stessi inquirenti ci sia chi ne dubita — che nel suo ultimo mese di libertà e di vita la vittima abbia fatto qualche mossa che ha disturbato i nuovi assetti della famiglia mafiosa del Borgo, mandamento di Porta nuova. Meno di un anno fa una vasta operazione di polizia aveva «ripulito» il quartiere dagli ultimi capi e sottocapi; chi ha occupato lo spazio rimasto vuoto non è ancora chiaro, le indagini sono in corso. E ora s’intrecciano con quelle sul nuovo e inaspettato delitto di mafia. Nell’attesa di vedere se— come accadeva in passato, durante le guerre di mafia — dopo la morte di Romano altre vittime o altri fatti ne facciano meglio comprendere ragioni e contesto.
Giovanni Bianconi