Daniele Zappalà, Avvenire 14/4/2011, 14 aprile 2011
L’ECONOMIA AFRICANA GIOCA DI RIMESSA
I più giovani di loro, talvolta, si considerano dei ’soldati’ sul fronte del lavoro. Spesso, sono pure chiamati ’salvatori’ dalle rispettive famiglie rimaste in patria. In 20 anni, in ogni caso, i migranti economici africani hanno realizzato assieme un’autentica impresa. Nel 1990, avevano ufficialmente trasferito ai propri cari l’equivalente di 9 miliardi di dollari. L’anno scorso, il fiume di denaro si è ingrossato fino a raggiungere i 40 miliardi, pari al 2,6% del Pil africano. Nei Paesi più piccoli, le rimesse sono ormai divenute una colonna portante dell’economia. In Lesotho, rappresentano il 28% del Pil. Nel caso dell’Africa del Nord, oltre la metà di queste rimesse (54%) proviene dall’Europa, contro il 41% per l’Africa subsahariana.
È quanto rivela un rapporto dal titolo programmatico appena pubblicato dalla Banca mondiale e dalla Banca africana di sviluppo: «Moltiplicare l’impatto delle migrazioni per l’Africa: rimesse, competenze e investimenti ». Gli emigranti africani all’estero sarebbero più di 30 milioni. La Francia è la prima destinazione (9% del totale), tallonata da due Stati africani: Costa d’Avorio e Sudafrica. Due terzi dei migranti subsahariani restano in effetti nel continente. I migranti nordafricani, invece, lo lasciano nel 90% dei casi.
Negli ultimi anni, le rimesse hanno superato i flussi della cooperazione allo sviluppo verso l’Africa e sono seconde solo agli investimenti internazionali diretti. Inoltre, il flusso reale dei trasferimenti è certamente superiore alle cifre ufficiali del rapporto. Una parte delle rimesse aggira i canali standard (poste, banche, agenzie di money transfer) o non è captata statisticamente nei Paesi d’arrivo.
Accanto alla loro espansione, a rendere tanto preziose le rimesse è pure una proprietà rara di cui godono: quella di avanzare controcorrente. I trasferimenti continuano spesso a crescere o a restare stabili anche durante le crisi finanziarie internazionali. Se invece la crisi colpisce un singolo Stato africano, ad esempio durante un’annata di carestie, le rimesse tendono persino a lievitare, fungendo da salvagente. L’uso che viene fatto del denaro ricevuto varia di molto secondo le destinazioni. In Nigeria, ad esempio, serve perlopiù ad acquistare terreni o ad assicurare un’istruzione ai più giovani. In Burkina Faso, a costruirsi una casa. In Senegal, a procurarsi cibo e cure mediche. In Uganda, fra l’altro, ad allestire cerimonie religiose. In Kenya, invece, soprattutto a finanziare attività produttive. Dappertutto, poi, le rimesse favoriscono l’acquisto di tecnologia: telefoni cellulari, radio, televisioni, computer.
Fiume finanziario perenne in un mondo economico altamente instabile, le rimesse fanno ormai gola a tanti. Innanzitutto, proprio al mercato del money transfer, sempre più competitivo su scala globale, anche se nel caso africano sopravvivono situazioni di pesante monopolio. Su un trasferimento dall’Italia verso l’Africa, la commissione media è del 9,7%, sostiene il rapporto. Ovvero, più di quanto pagano i migranti giunti nel nostro Paese dall’Asia o dal Sudamerica. L’Italia si conferma uno dei 5 maggiori mercati al mondo per i giganti del settore, come Western Union e MoneyGram. Da tempo, anche diverse banche europee, soprattutto in Francia, cercano di proporre servizi su misura per entrare in lizza. Secondo il rapporto, si potrebbe fare ancora molto in Africa per trasformare le rimesse in un volano più potente d’investimento e sviluppo locale. Fra le piste suggerite, vi è quella di buoni del Tesoro emessi dai governi africani e riservati agli espatriati delle diaspore ad esempio in Europa, come già sperimentato con successo dai governi indiano ed israeliano.
Ma di fronte a queste ipotesi, c’è chi invita a non dimenticare il fattore umano di base. Le rimesse restano molto spesso il risultato di duri sacrifici e separazioni familiari. Per i ’soldati’ e i ’salvatori’, il risparmio non è quasi mai semplice denaro da ’investire’, fosse pure a fini ’patriottici’. È pure il segno di un legame, di un dono di sé, di un impegno che valica le frontiere. Molte delle nuove proposte ’mirate’ d’investimento, tanto più se statali o internazionali, potrebbero restare a lungo opzioni poco appetibili per i migranti. Fra l’investire e il dare resta pur sempre un mare.