Filippo Di Giacomo, l’Unità 14/4/2011, 14 aprile 2011
QUEI BATTESIMI DI CUI NESSUNO PARLA
Nel mondo delle coscienze, diceva madre Teresa di Calcutta, non si fanno statistiche. Questo forse potrebbe essere un modo per raccontare la storia di chi approda sulle nostre coste proveniente dal Nord Africa. Sta per arrivare la settimana Santa e mentre la politica semina paura, chi va in Chiesa potrebbe approfittare dell’occasione e riportare a casa qualche seme di speranza. Nelle nostre chiese, durante le veglie del sabato santo, è ormai frequente assistere al battesimo di persone adulte. Si tratta spesso di immigrati musulmani che, talvolta, diventano cristiani insieme a moglie e figli. Come ogni anno però il loro gesto resterà ciò che realmente è: un atto legato alla vita personale, circondato quindi da grande discrezione. E nessuno, sbandiererà la religione d’origine dei neofiti. Il proselitismo militante infatti, da almeno quattro decenni, non è più una categoria dello spirito cattolico. Di certo su coloro che provengono dall’islam, non incombono solo le pene previste per gli “apostati” dalle quattro scuole giurisprudenziali della sharia, ma le legislazioni dei loro Paesi di origine che, dal Marocco all’Egitto passando per Tunisia, Algeria e Turchia, hanno ultimamente inasprito (dopo le “rivoluzioni liberali” delle ultime settimane) le leggi civili e penali contro chi annuncia e, soprattutto, accetta il cristianesimo. In Italia, per coloro che lasciano l’islam, il cattolicesimo non è l’unico approdo.
Il movimento di conversione riguarda tutte le confessioni cristiane ed è numericamente più evidente nelle Chiese di matrice evangelica e pentecostale. Anche i Testimoni di Geova accolgono ogni anno convertiti di origine islamica, e a ben guardare sul web, si incontrano anche pagine francesi, inglesi, tedesche ed olandesi redatte da ex maomettani diventati buddisti. Per restare in ambito cattolico, dopo Francia e Germania, prime a sperimentarlo, anche negli altri Paesi Ue le Chiese si stanno dotando di un catecumenato post islamico. In Germania, a scegliere il battesimo, sono i turchi di seconda generazione e gli espatriati serbo-bosniaci ed albanesi. Oltralpe, il movimento di conversione riguarda i giovani immigrati di seconda e terza generazione. E nelle cattedrali francesi è ormai usuale che il sabato santo, il battesimo di adulti raggiunga cifre che oscillano fra 500 e 2000.
In Italia i numeri sembrano inferiori, ma il perché va ricercato nel fatto che le diocesi interessate, oltre a non fornire dati tendono a smentire cifre che, voci anonime ma bene informate, accreditano quasi allo stesso livello di quelle francesi.
Gli islamici, in chiesa, arrivano per due diverse strade. La prima è quella dei “musulmani bianchi” dell’Europa dell’Est e si configura più come una scelta che come una conversione. Educati in sistemi decisamente contrari ad ogni forma religiosa, solo in Italia hanno potuto conoscere differenti espressioni di cultura sacra e benché di origine musulmana, il cristianesimo rappresenta la loro prima opzione religiosa.
La seconda strada è quella degli immigrati di origine araba. Spesso nelle scuole cattoliche frequentate nelle loro nazioni di origine hanno avuto una prima conoscenza diretta del cristianesimo, poi in Italia hanno liberamente approfondito la loro ricerca spirituale bussando, talvolta con insistenza, alle porte della Chiesa per essere preparati al battesimo. Questi nuovi cattolici stanno inducendo il nostro Paese a superare alcune ristrettezze ideologiche fortemente discriminatorie nei loro confronti presenti nella nostra legislazione. La parte dell’ordinamento giuridico italiano relativa ad alcuni importanti diritti soggettivi, quella un tempo definita di “diritto privato internazionale” e ora seppellita nella categoria astratta delle cosiddette “pre-leggi”, è infatti stata scritta negli anni Trenta, quando i codici civili dei Paesi del mediterraneo venivano garantiti, dagli ordinamenti delle potenze coloniali e protettrici. Gli stessi codici sulla reciprocità, in Paesi che ormai usano il corano come fonte primaria del diritto, sono stati modificati dagli anni sessanta in poi in chiave anticristiana ponendo i neo convertiti a rischio di inabilitazione al matrimonio, di sottrazione della patria potestà, di divorzio imposto dal giudice.
E nelle nostre leggi, il diritto alla libertà affettiva (garantito dalla Costituzione) viene regolarmente offeso dalla prevalenza della sharia imposta anche ai nostri cittadini dalle ambasciate dei Paesi islamici. Un cittadino italiano può sposare una cittadina musulmana solo convertendosi prima all’Islam. Fino ad ora comunque a nessun legislatore italiano è venuta in mente una pur piccola disposizione legislativa che ricordi alle ambasciate dei Paesi a prevalenza musulmana che porre condizioni al matrimonio, in Italia è anticostituzionale. «C’è una grande storia da raccontare» dice un manifesto incollato, in questi giorni, sui muri delle nostre città. Si potrebbe cominciare a raccontarla anche da qui, questa bella e sconosciuta porzione di storia italiana.