Michele Ainis, Corriere della Sera 13/04/2011, 13 aprile 2011
FALSE DEFINIZIONI - E’
uno scandalo la prescrizione breve? E in generale è un insulto al senso di giustizia la prescrizione dei reati, quali che siano le sue modalità concrete? Al contrario: questo istituto attinge alle ragioni stesse del diritto. Altrimenti non ci spiegheremmo perché mai fosse già noto all’esperienza giuridica ateniese non meno che a quella romana.
Sotto Giustiniano, infatti, i delitti si prescrivevano in vent’anni, ma anche allora c’erano casi di prescrizione più breve). Non capiremmo perché sia regolato nei codici d’ogni Paese al mondo. Resteremmo increduli scoprendo che il decorso del tempo fa estinguere altresì i diritti, i crediti, le indennità lavorative.
Nel campo penale, la ragione è presto detta. Dipende dalla funzione della pena, che non è un castigo divino, non è la dannazione eterna che t’insegue fin dentro la tomba. La pena mira a soddisfare un’esigenza umana, di noi dannati della terra. E quando la polvere del tempo copre l’allarme sociale che circonda ogni delitto, non ha più senso impugnare il bastone della legge. Perché quella società offesa dal reato non c’è più, è diventata un’altra. Perché anche il reo è diventato un altro uomo, sicché punirlo sarebbe come fargli scontare le colpe di suo nonno. Perché infine ciascuno ha diritto a un orizzonte di libertà, mentre l’attesa perpetua della pena si tradurrebbe in una pena perpetua. A meno che il crimine commesso non sia tanto efferato da trascendere la storia: l’omicidio è un delitto senza tempo, e infatti è imprescrittibile.
No, non è la prescrizione il peccato che ci spedirà all’inferno. Non è neppure il diavolo con le sembianze di Silvio Berlusconi, se vogliamo misurare i problemi laicamente, senza pregiudizi, senza vade retro. E non è l’accorciamento del termine di prescrizione per gli incensurati, che dopotutto ha una sua ragionevolezza. Tuttavia quest’ultima diventa irragionevole se la caliamo nell’ambiente giuridico italiano, qui e ora. In primo luogo per l’incontinenza del nostro legislatore: magari ci avranno fatto caso in pochi, ma la prescrizione breve ce l’abbiamo già. Quella battezzata nel 2005 dalla legge ex Cirielli, che ha sforbiciato i termini per i reati meno gravi. Però a forza di stirare come un elastico il tempo della prescrizione si contraddice l’aspirazione alla certezza, che è alla base della stessa prescrizione. E a prendere sul serio le parole, quest’ultima creatura andrebbe denominata brevissima, per distinguerla dalla precedente.
Ecco, le parole. Innervano da sempre la politica, ma pure il diritto è intessuto di parole, fin dall’epoca delle XII Tavole. Il guaio è che le parole della legge sono diventate false, ingannatrici. Evocano un permesso di soggiorno temporaneo per i tunisini, non con l’intenzione d’ospitarli, bensì per espellerli, a nord anziché a sud. Chiamano interventi umanitari le nostre guerre in Libia, in Afghanistan, in varie altre contrade. Promettono il testamento biologico nell’atto stesso in cui lo negano. Forgiano una legge elettorale che in realtà sostituisce la cooptazione all’elezione. Per forza i cittadini ne diffidano. Dei politici, e per conseguenza delle leggi.
E il processo breve? C’è forse qualcuno che lo preferirebbe lungo? Ma per ottenerlo dovremmo tagliare il troppo diritto che appesantisce i nostri troppi tribunali (1.292, il doppio dell’Inghilterra o della Spagna). Dovremmo depenalizzare, anche perché 35 mila fattispecie di reato significano carceri affollate come il metrò di Tokyo. Dovremmo sfoltire procedimenti e riti (quelli civili sono 34). Noi invece seghiamo i processi, come se 170 mila prescrizioni l’anno non fossero abbastanza. L’incongruenza, ecco il vizio di quest’ultima riforma. Se la giustizia italiana fosse una gazzella potrebbe funzionare. Siccome è una lumaca, finirà per ammazzarla.
Michele Ainis