ANAIS GINORI , Repubblica 13/4/2011; BENEDETTA TOBAGI, Repubblica 13/4/2011, 13 aprile 2011
2 articoli - VITA SENZA FRONTIERE DEI FIGLI DELL´EUROPA - «Sono francese, spagnolo, inglese, danese, sono uno ma sono anche tanti altri
2 articoli - VITA SENZA FRONTIERE DEI FIGLI DELL´EUROPA - «Sono francese, spagnolo, inglese, danese, sono uno ma sono anche tanti altri. Sono come l´Europa, un vero casino». La battuta di Xavier, lo studente protagonista del film L´appartamento spagnolo, è ormai la condizione mentale di milioni di giovani europei, cresciuti con la prima paghetta in euro. Chi l´ha detto che l´Ue è in crisi? Seguendo le cronache politiche di questi giorni, con le liti quotidiane a Bruxelles, si potrebbe pensare che la costruzione europea sia definitivamente tramontata. Ma i giovani di oggi credono ancora al sogno dei loro "nonni" fondatori. Non hanno le loro motivazioni originarie e molti di loro non devono neanche più fare il servizio militare. Sono nati in un´Europa unita e pacificata, dove il Muro di Berlino era già crollato. Non hanno avuto neanche bisogno di votare i vari referendum nazionali, con le annesse polemiche sul processo di unificazione. Forse è per questo che oggi in tutti i Paesi europei i ventenni sono la fascia di popolazione più entusiasta della nostra vecchia e barcollante Ue. Ragazzi che vivono dall´Atlantico fino alle frontiere con l´Oriente, dal Polo Nord al Mediterraneo, e hanno valori e ideali comuni. Proprio come ne L´appartamento spagnolo, dove si narrano le vicissitudini di una piccola comunità di studenti Erasmus. È il futuro che avanza rispetto alle vecchie logiche "nazionalistiche" ancora care ai cittadini più anziani e a molti leader di governo. L´Europa, per loro, è vicina. «Questa tendenza si ripercuote molto nettamente sulle istituzioni comunitarie, con una visione positiva dell´Ue» racconta Benedetta Guerzoni, analista all´Epc e tra i ricercatori che hanno firmato lo studio. Quasi tutti i giovani europei (90%) associano l´Ue alla libertà di viaggiare, studiare e lavorare all´estero. Sono loro i cittadini meglio disposti verso le decisioni prese a livello europeo. In materia di salute e politiche sociali il supporto a Bruxelles è del 44% per le persone di età compresa tra i 15 e i 24 anni, rispetto al 30% tra chi ha più di 65 anni. L´Ue è vista dai giovani come una forma di protezione verso i loro diritti di cittadini (72%) e un mezzo per migliorare la situazione economica (71%). «Per questi giovani - spiega Guerzoni - il concetto di Unione europea è qualcosa di molto meno astratto. Chi oggi ha tra venti e trent´anni ha usato l´euro per più di un terzo della vita». Per loro la moneta unica è uno strumento irrinunciabile. Come i programmi comunitari Erasmus o Leonardo, usati ormai da milioni di giovani. Oppure l´accordo di Schengen, che pure oggi è sotto accusa. «È una dimensione più pragmatica della visione dell´Europa - continua l´analista - che ha probabilmente contribuito a far perdere un po´ di idealismo, di quel grande progetto sorto dopo guerre e divisioni o come coronamento di un processo di democratizzazione». Esistono poi i nuovi cittadini dell´Ue. Ben 12 dei 27 Stati membri lo sono diventati dopo il 2004. «Non si può pensare a una generazione europea senza tenere in considerazione il numero di ragazzi e ragazze polacchi, cechi o rumeni, che adesso possono spostarsi liberamente in Europa. Hanno vissuto l´apertura all´Europa sulla propria pelle e per questo, generalmente, tendono ad esserne entusiasti». Mentre i governi nazionali discutono della revisione del Trattato di Lisbona e di nuova governance europea, i giovani spingono già per un rafforzamento delle decisioni dell´Ue in materia di terrorismo, ricerca scientifica e tecnologica, protezione dell´ambiente. A sorpresa, hanno anche un´idea dello Stato "leggero", dimostrano uno scarso attaccamento al Welfare State e agli interventi nazionali nel settore della sanità o delle pensioni. «Anche se restano comunque meglio disposti verso il ruolo dello Stato rispetto ai loro coetanei americani» precisa l´analista dell´Epc. Le ormai quotidiane sparate anti-Ue non sono condivise dalla maggior parte dei ragazzi italiani. Il nostro Paese è tra i più eurofili del continente. Solo il 30% dei giovani tra i 15 e i 30 anni vede l´Ue come uno spreco di tempo e denaro o una minaccia per la cultura nazionale, contro il 42% e il 35% della media europea. Un dato che si associa alla poca considerazione degli italiani verso le istituzioni nazionali (25% di fiducia nel governo e nel Parlamento, rispetto al 31% europeo). Le differenze tra gli italiani e gli altri coetanei europei sono sulla meritocrazia e la possibilità di trovare lavoro. Solo il 46% considera importante avere una buona istruzione per andare avanti nella vita, contro il 62% europeo. Al contrario, il 32% sostiene più efficace conoscere le persone giuste (26% nell´Ue). Essere "smart", intelligente, è fondamentale per il 7% dei giovani nel nostro Paese (il dato più basso d´Europa), mentre venire da una famiglia ricca è importante per il 18% degli italiani (7% media europea). Nonostante le singole differenze, la ricerca pubblicata da Epc e City University London, riconosce nei ventenni di oggi un nuovo "blocco sociale". «L´età è diventata un fattore discriminante in quasi tutte le società europee» racconta Eric Harrison, analista della City University London. «Quando abbiamo cominciato questo studio credevamo di trovare caratteristiche molto diverse attraverso l´Ue in base alla nazione. Invece abbiamo notato che le maggiori disparità esistono tra le diverse fasce d´età. Il divario più forte tra gli europei non è più influenzato dai confini o dalla cultura di origine. I cittadini giovani e istruiti si assomigliano nella maggioranza dei ventisette Paesi membri, mentre quelli più anziani tendono ancora a riprodurre le antiche distinzioni nazionali». Questa nuova generazione potrebbe dare una svolta. «Quando i giovani cresceranno ed entreranno nella vita attiva e politica, aumenterà l´appoggio al ruolo dell´Ue». Qualcuno degli studenti raccontati in L´appartamento spagnolo prenderà il posto di Sarkozy, Merkel e Cameron. E allora magari le vecchie frontiere conteranno un po´ meno. E tutti si abitueranno a dire come Xavier: «Sono uno, ma sono anche tanti altri». ANAIS GINORI , Repubblica 13/4/2011 QUELLA GRANDE FORTUNA DI NON SENTIRSI "STRANIERI" - Sono un Baco del Millennio: dieci mesi di università li ho fatti nei Paesi Bassi, anno accademico 1999/2000, prima dell´euro e - sembra impensabile - senza nemmeno i cellulari (il boom sarebbe arrivato poco dopo). Salamandra di una generazione borderline che ha fatto in tempo a sentire sulla pelle che tutto stava cambiando e ora fatica già a ricordarsi il "prima". Fare un soggiorno di studio o di lavoro all´estero a vent´anni è una sorta di passaggio iniziatico. Significa sradicarsi e uscire di casa, imparare a badare a se stessi, dalle bollette al dentista al bucato, sperimentarsi lontano dalla rete degli amici e della famiglia, affrontare le ansie sociali, le pressioni di un ambiente diverso, magari mettere il grande amore sbocciato al liceo al banco di prova della distanza. È una camera d´incubazione che aiuta a crescere e costringe a guardare un po´ meglio dentro se stessi: non a caso il protagonista dell´Appartamento spagnolo riesce a sfuggire a una vita preprogrammata, scoprendo la vocazione di scrittore. Maturazione sospinta dalla naturale onda d´entusiasmo che sprigiona dai primi assaggi di libertà. Impossibile sopravvalutare il peso della mobilità transnazionale degli studenti nella costruzione della cosiddetta "identità europea". Chi vive le bizzarre mescolanze delle student house non si sente "multiculturale", o qualunque altra etichetta vogliano usare le ricerche sociologiche. Semplicemente accade: non avverti alcuna reale distanza tra te e gli studenti francesi, austriaci, spagnoli, polacchi. È un gioco continuo: scoprirsi uguali eppure potersi regalare un mondo intero di cose sconosciute - a cominciare da musica, cibi, libri - raccontare sé e il proprio Paese, esplorare nuove abitudini, entrare nei meccanismi di uno humour differente. In questo senso, il fatidico anno di studi all´estero assomiglia a uno stato d´innamoramento diffuso e prolungato (se il paragone vi pare eccessivo, osservate il sorriso idiota che si stampa sulla faccia di chi l´ha provato al momento delle rimembranze, e cambierete idea). A livello più democratico e popolare, resuscita qualcosa dello spirito dei cenacoli intellettuali transnazionali dall´età moderna all´Illuminismo. Per quanto intensa, si tratta però di una dimensione esperienziale, prepolitica, e non è detto che questi vissuti siano sufficienti a garantire che la prossima generazione affronti e sciolga lo scoglio apparentemente insuperabile riproposto dall´emergenza libica: dare all´Europa un governo, una politica estera unitaria, a phone number, per dirla con Kissinger. Ma se non abbiamo dimenticato del tutto le mostruosità prodotte dai viscerali e prepolitici sentimenti d´attaccamento all´Heimat nel Novecento, non possiamo che sostare stupefatti davanti a questo piccolo miracolo culturale che ha reso ovvio l´impensabile in tre generazioni o poco più. In questi vissuti, l´euro non conta poi molto. Ricordo che avere in tasca una manciata di fiorini era per noi "Erasmi" italiani oggetto di perpetua ilarità, in omaggio all´indimenticabile gag di Non ci resta che piangere, ma, per il resto, del tutto indifferente - come è indifferente alle frotte di ragazzini che invadono Piccadilly Circus da tutta Europa che ci sia ancora Elisabetta II sulla manciata di pound con cui devono arrangiarsi per tutto un weekend. Il problema vero erano e restano i prezzi. I ragazzi per definizione di soldi in tasca ne hanno pochi: l´euro, nel quotidiano, ci ha liberato dal ladrocinio delle commissioni di cambio e ha eliminato il fastidio dei calcoli frenetici davanti a un menù a prezzo fisso, un maglione o un cd introvabile in patria, per capire se conviene oppure è una fregatura. Assai più della moneta unica è stato il cocktail esplosivo tra il trattato di Schengen e il business dei voli low cost a rivoluzionare le nostre vite, educando all´Europa anche chi non ha avuto accesso agli scambi universitari. Quando non hai che da infilarti in tasca la vecchia carta d´identità sbiadita e spiegazzata (ma presto la diffusione del supporto magnetico renderà obsoleto anche l´imbarazzo di mostrare eventuali strappi e macchie d´unto sulla prova della nostra italianità) e raggiungere l´aeroporto costa spesso più del volo, Praga e Barcellona, Stoccolma e Budapest, diventano davvero mete familiari. Siamo in tanti ad aver visto Parigi prima di Roma o Napoli. Ma c´è molto di più. Niente corse a ostacoli per il permesso di soggiorno, né l´ansia perpetua di perdere la social security che assilla chi tenta la fortuna sul suolo americano. Partire costa pochissimo, e la bandiera stellata garantisce che potrai fermarti e provare a vivere, studiare, lavorare, in libertà: dipenderà dalla tua tenacia, determinazione, capacità. Non serve nemmeno più il modulo dell´assistenza sanitaria. E chi riesce più a immaginarsela una vita senza questa libertà di essere cittadino d´Europa, senza dover chiedere permesso, senza l´umiliazione di essere trattato come un migrante che pietisce alla porta altrui. Senza una riserva di futuro accessibile altrove, una finestra spalancata su un orizzonte aperto, tanto più preziosa quando l´atmosfera del tuo Paese si fa asfittica e le prospettive di lavoro mortificanti. E se molta è la strada da fare, è importante ricordarsi che abbiamo tante più possibilità per crescere perché qualcuno ci ha sognati, a Ventotene. Le tensioni profonde che attraversano l´Ue in questi giorni, di fronte all´intenso afflusso di migranti nordafricani, ci impongono di ricordare che adesso tocca a noi cittadini europei sognare in grande anche per qualcun altro. BENEDETTA TOBAGI, Repubblica 13/4/2011