ALAIN DE BOTTON , Repubblica 12/4/2011, 12 aprile 2011
DALLA PITTURA AI ROMANZI QUANDO LA NOIA È CREATIVA
Peter Toohey ha avuto la brillante idea di scrivere un saggio (Boredom – A Lively History) su una sensazione che proviamo davvero per molto tempo, ma all´analisi della quale ne dedichiamo pochissimo. In parte, il motivo per il quale ignoriamo la nostra sensazione di noia è che ne siamo imbarazzati, giacché ricordiamo il vecchio adagio insegnatoci dalle nostre madri secondo cui soltanto le persone noiose si annoiano. Ma Toohey, in realtà, è pronto a capovolgere questo assioma, suggerendo che occorre moltissima perfezione per poter essere intensamente, adeguatamente, produttivamente annoiati. Seguendo le teorie dei moderni psicanalisti, Toohey ci spiega che i periodi nei quali crediamo di essere annoiati di fatto sono anche quelli nei quali il prezioso materiale preconscio si rimescola e rielabora, pronto a fare la sua comparsa, a diventare palese e a lanciarci verso risultati realmente considerevoli. Le persone che non riescono a essere proficuamente annoiate tendono ad avere vite poco interessanti e piatte, dice Toohey.
Per Toohey un romanzo sulla noia fondamentale e istruttivo è Madame Bovary di Flaubert, che narra la storia di una donna sposata da poco che rovina il suo rapporto e finisce col perdere la vita fondamentalmente perché non può tollerare di annoiarsi. Le sue letture sbagliate, incentrate su avvenimenti drammatici e su improbabili complotti, inducono la sventurata Emma Bovary a supporre che vi sia qualcosa di sbagliato in suo marito e nella vita tranquilla che conducono in un paesino dove l´evento più elettrizzante in grado di alterare la pace è l´arrivo ogni giorno del quotidiano dalla vicina Rouen. In ogni caso, come lasciano intendere Flaubert e Toohey, non c´è assolutamente nulla di sbagliato in una vita piatta. Crederlo, al contrario, significa correre il rischio di dilapidare le cose veramente importanti e che contano, come un partner amorevole, una bella casa, i propri figli. Toohey insiste in particolare sulla morale alla quale Flaubert fa soltanto accenno: noi tutti siamo eccessivamente ossessionati dagli eventi elettrizzanti, ma faremmo bene ad apprezzare una vita tranquilla. C´è ben poco di più estremo ai nostri giorni.
Uno dei piaceri di questo saggio languido, calmo e interessante è offerto dalle sue molteplici illustrazioni. L´autore ringrazia la figlia Kate per averlo indirizzato verso pittori che furono in grado di riabilitare la noia e farcene percepire tutto il fascino. I pittori fiamminghi del XVII secolo furono particolarmente maestri nell´arte di raffigurare "scene noiose", che di fatto ci incuriosiscono e ci commuovono allorché diventiamo consapevoli che i momenti tranquilli in famiglia non devono essere sottovalutati, essendo a modo loro un prodotto della civiltà. I pittori fiamminghi ci aiutano a riscoprire l´associazione possibile con una parola strettamente correlata alla noia: la borghesia. Nel mondo raffigurato da pittori quali Pieter de Hooch, essere borghesi significa indossare abiti semplici ma eleganti, essere né troppo volgari né troppo pretenziosi, avere un rapporto naturale con i bambini, riconoscere i piaceri della sensualità senza cadere nella dissolutezza, sapere come restare seduti in una stanza tranquilla per un tempo apparentemente molto lungo, avendo come uniche distrazioni una finestra o un libro. Prestando attenzione alla bellezza di una costruzione in mattoni, alla luce che si riflette su una porta ben lucidata, questi artisti ci aiutano a scoprire un piacere in aspetti onnipresenti e tuttavia trascurati della realtà, e quindi a impedirci di diventare troppo assuefatti ai falsi richiami dell´"esaltazione".
Nel libro si illustra brevemente la storia della noia, e si avanza l´idea che oggi siamo più portati a essa rispetto al passato perché vi sono molteplici distrazioni. I bambini protestano quando si impongono loro rigidi orari per guardare la televisione, e i gadget non sono compagni ideali per un lungo viaggio in treno in uno scompartimento tranquillo. Ma mettiamo a confronto tutto ciò con i nostri antenati, che non avevano altra scelta se non quella di usare la loro immaginazione per trarne stimoli interiori. Quasi tutte le sere, per tutta la vita, restavano chiusi in casa, seduti, alla luce di una candela (se si era abbastanza fortunati da possederla), chiacchierando con qualcuno, o guardando fuori dalla finestra, in attesa che il sonno sopraggiungesse per andare a coricarsi. Una delle sfide più sconcertanti della nostra epoca consiste proprio nell´imparare di nuovo a concentrarci, e ciò è strettamente correlato alla capacità di tollerare un certo livello di noia. In particolare, nell´ultimo decennio abbiamo assistito a un assalto senza precedenti alla nostra capacità di fissare la nostra concentrazione a lungo su qualcosa. Starsene fermi e riflettere, senza soccombere all´ansioso desiderio di afferrare qualche marchingegno, è diventato pressoché impossibile. Parte del problema è la nostra "fissazione per le notizie": la fissazione per l´attualità è incessante. Siamo indotti a ritenere che in un momento qualsiasi da qualche parte nel pianeta possa accadere qualcosa in grado di far piazza pulita di ogni certezza, qualcosa che se non la dovessimo sapere immediatamente ci lascerebbe del tutto incapaci di capire noi stessi e i nostri simili. Siamo inoltre ininterrottamente sollecitati a scoprire nuove opere della cultura, ma in questo processo non permettiamo a nessuna di esse di contare davvero nelle nostre teste. Uno studente che studia per conseguire la laurea in Lettere quasi certamente prima di quel giorno si imbatte in un migliaio di libri. Nel 1250 in Inghilterra una famiglia facoltosa possedeva sì e no tre libri: una Bibbia, un libro di preghiere, un volume con le vite dei santi. Questa biblioteca di dimensioni così modeste nondimeno poteva costare quanto una casetta di campagna. La scrupolosa accuratezza della maestria artigiana di una Bibbia prima di Gutenberg testimoniava una società che non poteva permettersi di far posto a un numero illimitato di libri, ma che accoglieva quella limitazione come il presupposto per un impegno adeguato con un insieme di idee.
Dal libro di Toohey ricavo l´idea che la necessità di digiunare – che sappiamo essere così benefica in relazione al cibo e che tuttavia è così contraria ai nostri istinti naturali – dovrebbe essere applicata anche a ciò che adesso sappiamo di dover re-imparare in relazione al sapere, alle persone, alle idee. Anche i nostri cervelli – non meno dei nostri corpi – richiedono periodi di noia, di digiuno, così da tornare a imparare in che modo concentrarsi.
(Traduzione di Anna Bissanti)
Il prossimo libro di Alain de Botton, Del buon uso
della religione, uscirà da Guanda in settembre