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 2011  aprile 12 Martedì calendario

Studenti-tecnici: 6 su 10 trovano subito lavoro - Il mondo del lavoro ha fa­me di carpentieri, operai spe­cializzati, elettricisti, saldatori, idraulici, ma anche cameriere, cuoche, parrucchiere, sarte, magliaie

Studenti-tecnici: 6 su 10 trovano subito lavoro - Il mondo del lavoro ha fa­me di carpentieri, operai spe­cializzati, elettricisti, saldatori, idraulici, ma anche cameriere, cuoche, parrucchiere, sarte, magliaie. Lo sanno bene i giova­ni che non si vergognano a dire: io faccio un mestiere manuale, no, non ho un diploma di ragio­­neria, neppure quello di geo­metra e tanto meno quello di maestra d’asilo.Lo sanno bene quei giovani che hanno scelto una scuola di tipo professiona­le e non conoscono la disoccu­pazione. Dopo sei mesi o un an­no al massimo, più del 60% ha un lavoro dignitoso, uno stipen­dio in tasca che oscilla dai 600 ai 1000 euro e a diciassette anni non stanno più a ciondolare da­vanti al bar o a ipnotizzarsi da­vanti alla playstation in attesa di un futuro sempre più incer­to. E dopo l’apprendistato o il ti­rocinio, il lavoro diventa stabile per circa la metà dei diplomati. Già, perché, snobbati e guarda­ti con sufficienza, i corsi profes­sionali non sono lo scarto della scuola pubblica e privata, han­no­una dignità importante e of­frono una capacità di recupero soprattutto per quella fetta dei giovani che abbandonano gli studi troppo presto. «Il 30% de­gli studenti italiani non arriva al diploma, una delle percentuali più alte nei paesi dell’Ocse» ci spiega Giorgio Vittadini, Presi­dente della fondazione per la sussidiarietà «ed è a loro che ci rivolgiamo per la nostra attività di recupero». Vittadini è un esperto. Ha curato il rapporto «Sussidiarietà e istruzione e for­mazione Professionale» di cui pubblichiamo alcuni dati e co­nosce bene la realtà dei Centri di formazione professionale, gestiti dalle Regioni, dai salesia­ni, o da laici che hanno sposato una finalità a sfondo ideale. «Se­guire questi ragazzi non signifi­ca profitto, significa metterci ri­sorse, energie, volontariato, passione e tutto quello che ser­ve a recuperare molte persone che hanno già fallito, non han­no un mestiere e rischiano di es­sere bruciati per tutta la vita». Attenzione però, il disagio gio­vanile non interessa solo la fet­ta degli emarginati. «È un pro­blema trasversale, che riguar­da una quota rilevante di fami­glie della media borghesia. Il nesso classe sociale - disagio giovanile non regge più. I giova­ni sono semplicemente incapa­ci di studiare per un obiettivo a causa dei problemi comporta­mentali della famiglia o del con­testo sociale in cui vivono». Ec­co allora che una preparazione pratica serve a far riacquistare fiducia in se stessi e ad integrar­si nella società. «Alcune volte ar­rivano d­a noi giovani senza nes­suno stimolo e ci dicono di non avere alcun interesse, ma poi si entusiasmano per la manuali­tà e ritrovano il sorriso ». Attual­mente sono 100mila i ragazzi dai 14 ai 17 anni che frequenta­no i Cfp diramati in tutta Italia. Si trovano bene a scuola. Non a caso il giudizio complessivo sul­l’insegnamento è ottimo per tre studenti su dieci e buono per quasi la metà di loro. Il per­corso formativo è apprezzato da otto giovani su dieci e i pro­fessori sono «promossi a pieni voti»da quasi il 75%della popo­lazione scolastica. Gli insoddi­­sfatti sono una quota esigua (4,5%). Meno contenti i 150mi­la studenti che frequentano gli Istituti professionali statali, i co­siddetti Ips. Qui, il giudizio sul percorso formativo è «molto po­sitivo » solo per il 27% dei diplo­mati e «abbastanza positivo» per il 49%. La scuola statale sem­bra meno coinvolgente: sono meno motivati gli insegnanti, meno selezionati i corsi di stu­dio. Non a caso, cinque diplo­mati su dieci fanno un lavoro di­verso da quello per cui hanno studiato. Nei Cfp, invece, quasi sei diplomati su dieci trovano un lavoro in linea con il titolo di studi. Inoltre, il 30% dei giovani ha impiegato meno di un mese a trovare lavoro e un altro 30% ha dovuto aspettare solo sei me­si. Fa da traino la Lombardia o il Piemonte dove il numero di as­sunzioni è molto alto e la fre­quenza a un Cfp o a un Ips di­venta una garanzia di un posto di lavoro a tempo indetermina­to e decorosamente retribuito (circa 1000 euro al mese). Diver­sa, e purtroppo negativa, la si­tuazione al Sud. In Sicilia, ma anche in Lazio, la fanno da pa­drona i contratti atipici. Che si­gnifica lavoro nero, zero contri­buti e sfruttamento. Se c’è con­­tratto, infatti, lo stipendio non supera i 600 euro al mese.