Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  aprile 12 Martedì calendario

PER FORTUNA C’È UN PAESE CHE NON MOLLA

Anche se il Paese "non cresce" c’è un’Italia che tiene duro: è quella delle imprese che non vivono in mercati protetti, ma che competono sul mercato mondiale in condizioni obiettivamente non facili. Non facili perché lavorare in Italia ed esportare è un mestiere faticoso per mille motivi che ben conosciamo (dal peso della burocrazia ai costi dell’energia, dai congestionamenti delle infrastrutture alle rigidità del mercato del lavoro).

Dunque, essere leader in queste condizioni operative è un compito estremamente arduo ma evidentemente non impossibile se è vero che persino nel 2009, l’anno più critico per l’economia mondiale dal 1929, l’Italia è stata il primo, secondo, terzo, quarto o quinto esportatore in ben 1.593 prodotti su un totale di 5.517 beni commerciati internazionalmente classificati dall’Onu (la massima disaggregazione statistica esistente per tutti i Paesi).

Ciò per un valore complessivo di export pari a ben 253 miliardi di dollari, pari a poco meno di 2/3 del nostro export complessivo. Dunque competiamo nel mondo principalmente da posizioni di primo piano e non di retroguardia, come taluni si ostinano a credere, e ciò è merito esclusivo delle nostre imprese. I prodotti in cui siamo stati primi esportatori mondiali nel 2009 sono complessivamente 240 (per un valore di 71 miliardi di dollari); i secondi posti sono stati 347 (per 56 miliardi di dollari); i terzi posti 387 (per 48 miliardi); i quarti posti 317 (per 49 miliardi); e i quinti posti 293 (per 29 miliardi). G razie all’innovativo Indice delle eccellenze competitive (Iec) elaborato dalla Fondazione Edison, l’Italia è probabilmente uno dei pochi Paesi al mondo (se non l’unico) a conoscere con questo elevato grado di dettaglio quali sono le proprie leadership nel commercio internazionale.

Per numero di primi posti assoluti nell’export mondiale l’Italia nel 2009 è risultata quarta dopo Cina, Germania e Stati Uniti; per valore degli stessi è stata sesta dopo Cina, Germania, Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud. Ma per numero di primi posti nell’export mondiale ogni 1.000 abitanti (4 primati) siamo preceduti soltanto dalla Germania (10 primati).

Nonostante i suoi molti problemi, è difficile pensare che un Paese come il nostro sia poco competitivo, visto che nel pur difficilissimo 2009 l’Italia è riuscita ad aggiungere ai suoi molti primati detenuti nell’export mondiale anche gli elicotteri con peso maggiore di 2 tonnellate (1,1 miliardi di dollari). Mentre ci siamo confermati primi esportatori di ben 5,4 miliardi di dollari di rubinetti e valvole, di 2,6 miliardi di navi da crociera, di 2,2 miliardi di yacht, di 2 miliardi di macchine per imballaggio, di 2 miliardi di occhiali da sole e montature, di 2,7 miliardi di pompe e parti di pompe, di 2,4 miliardi di paste alimentari, di 1,8 miliardi di pomodori lavorati, di 1,3 miliardi di lavori di alluminio, di 850 milioni di cofani, vetrine e mobili per il freddo, di 830 milioni di caffè torrefatto, di 500 milioni di cappe per cucine, solo per citare alcune leadership evidenziate dallo Iec.

Inoltre, nonostante l’aggressiva concorrenza asimmetrica cinese, siamo rimasti anche primi esportatori mondiali di scarpe e stivali con tomaia in pelle per 4,2 miliardi di dollari (a dispetto di tante teorie sul declino dei prodotti "maturi") e di 3,9 miliardi di piastrelle ceramiche. Senza dimenticare i cuoi per oltre 3 miliardi di dollari, le borse in pelle per 1,6 miliardi e i collant da donna per 740 milioni.

Nel 2009, è vero, abbiamo perso qualche primo posto nell’export: ad esempio nelle mele e nei prodotti di oreficeria-gioielleria. Ma, in generale, abbiamo mantenuto le nostre posizioni competitive di eccellenza su tutti i fronti, dalle macchine industriali (numerosissime) ai prodotti alimentari, dai beni per la persona a molti materiali per l’edilizia. Siamo rimasti i primi esportatori mondiali anche nella carta igienica e per usi domestici e nei tubi in acciaio, nei congegni automatici per porte e negli ascensori e montacarichi, nelle giostre e nei vermut, nei sollevatori fissi per autovetture e nei fagioli, nelle selle per biciclette e nei tessuti di lana di qualità, nei fili di rame isolati e nelle macchine per panificazione, nei fermagli e nelle fibbie per abiti e scarpe, nei salumi e nelle cravatte.

Senza dimenticare i secondi posti di peso nei vini (3,9 miliardi di dollari) e negli spumanti (540 milioni), nei mobili (2,1 miliardi), nei divani imbottiti (1,6 miliardi), nelle lampade (880 milioni), negli ingranaggi (1,4 miliardi), nelle macchine per imbottigliare (1,2 miliardi), negli scambiatori di calore (1,1 miliardi), nella grande caldareria industriale (530 milioni), nelle caldaie per riscaldamento domestico (670 milioni), nelle tute sportive (380 milioni), nei poliuretani (440 milioni), nell’olio di oliva (1 miliardo), nei kiwi (460 milioni) e nelle pesche (330 milioni). Le mille nicchie del made in Italy, dunque, non sono state travolte dalla crisi globale del 2009 e sono ancora oggi un grande punto di forza della nostra economia reale.

A dispetto di una certa retorica sul "nanismo", nel 2009 l’Italia è stata esportatrice con valori unitariamente superiori ad almeno 50 milioni di dollari di 170 prodotti in cui è risultata prima per export a livello mondiale (39 dei quali hanno fatturato più di 500 milioni di dollari all’estero), di 195 prodotti in cui è stata seconda per export e di 176 prodotti in cui è risultata terza per export. Il che significa che possediamo più di 500 imprese medio-grandi o distretti di piccole e medie imprese o combinazioni di entrambi in grado di fare il bello e cattivo tempo sui loro rispettivi mercati.

Qualcuno dice che di "nicchie" si può morire, ma l’Italia di "nicchie" vive e prospera e ha un surplus manifatturiero molto migliore di diversi Paesi pur dotati di molti "campioni nazionali". Tutti vorrebbero possedere nicchie simili, mentre spesso noi non sappiamo apprezzarle; in definitiva, non conosciamo nemmeno bene ciò che siamo e che mestieri sappiamo fare. Un elenco esemplificativo di alcuni dei nostri tanti primati è illustrato nella tabella a fianco. Mentre dalla prossima settimana la lista completa del 27% circa dei 5.517 prodotti commerciati a livello mondiale in cui l’Italia eccelle sarà disponibile online (www.fondazioneedison.it) e potrà insegnare al Paese che non cresce come si può fare per crescere.