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 2011  aprile 12 Martedì calendario

RADAR, BARRIERE E DENARO. COSì LA SPAGNA RESPINGE

È telecamere a infrarossi, antenne e postazioni di controllo della Guardia Civil, fisse o mobili. È sempre in funzione, giorno e notte, con una vista quasi infallibile: il suo “sguardo” può arrivare fino a 40 miglia dalla costa (20 chilometri). E scoprire qualsiasi oggetto di dimensioni superiori a mezzo metro quadrato. Si chiama Sive – Sistema integrato di vigilanza esterna – ed è l’arma principale con cui la Spagna combatte da nove anni l’immigrazione irregolare e, parallelamente, il narcotraffico. Gli occhi del “muro-hi tech” non si chiudono mai: osservano tutte le imbarcazioni che si avvicinano alle coste del Paese iberico, dal sud dell’Andalusia fino al confine con la Francia. Ma non solo: è sempre questo ferreo meccanismo di vigilanza incrociata – che fa scattare gli elicotteri o le motovedette iberiche – a controllare parte della punta nord­occidentale del paese (Galizia), dell’arcipelago delle Canarie e delle Baleari. In totale, sono 1.400 i chilometri costieri pattugliati da questo mega-radar. Intercettata la barca in avvicinamento, intervengono le autorità: il servizio marittimo affianca il mezzo fino al porto più vicino e per gli irregolari inizia l’iter verso il rimpatrio.
Sulle spiagge dell’Andalusia – secondo i dati pubblicati dal quotidiano El Pais – fra il 2009 e il 2010 sono giunte solo 365 barche, mentre nei due anni precedenti all’istallazione del Sive ne arrivarono 1.314.
Agisce anche da deterrente, dunque: non a caso le rotte delle pateras sono cambiate, nel tempo, per sfuggire alle telecamere.
Il Sive è diventato il nemico numero uno delle mafie che organizzano gli sbarchi clandestini. Ma lo odiano anche i trafficanti di droga, assicura sempre El Pais . Per questo negli ultimi tempi si stanno verificando sempre più frequentemente tentativi di sabotaggio contro le torri di comunicazione a cui giungono i dati del Sistema di vigilanza. Che funziona, sì, ma che è anche un meccanismo altamente sofisticato, e perciò costa caro: soltanto per il controllo delle coste andaluse – soprattutto nella zona di fronte allo Stretto di Gibilterra – sono stati investiti oltre 88 milioni di euro dal 2002 ad oggi.
Il Sive è solo una faccia della medaglia: per bloccare l’immigrazione irregolare, la Spagna ha deciso di ’spostare’ le sue frontiere sempre più a sud, anche grazie alla diplomazia. Nel 2006 Madrid lanciò il suo primo ’Piano Africa’: un pacchetto di aiuti e investimenti diretti ai Paesi del vicino continente, in cambio di una stretta collaborazione di polizia per trattenere i flussi migratori diretti alle Canarie. Il governo di Zapatero puntò molto sugli accordi bilaterali con Paesi come il Senegal, la Mauritania o il Mali, e non risparmiò nel rafforzare il corpo diplomatico in Africa.
In un primo momento il Marocco fu il trampolino di lancio per i gommoni e le piccole lance di legno dei clandestini, ma con il passare degli anni le coste africane occidentali sono diventate la rampa per migliaia e migliaia di africani, provenienti da diversi Paesi della regione. La Spagna ha rinnovato il suo impegno con un nuovo ’Piano Africa 2009-2011’, ma diverse organizzazioni non governative accusano Madrid di firmare intese con Paesi che violano i diritti umani, arrestano migliaia di migranti e li abbandonano in zone desertiche, impedendo loro di raggiungere le coste per imbarcarsi verso la Spagna. Non è l’unica critica che piove sugli spagnoli.
Fra il 2004 e il 2008 il Paese iberico ha destinato 25 milioni di euro (come aiuti ufficiali allo sviluppo) a dei progetti che, in realtà, sono più legati al controllo delle frontiere che alla solidarietà: è la denuncia delle ong Alboan e Entreculturas, convinte che la cooperazione spagnola dipenda dall’interesse governativo di controllare i flussi migratori.