Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  aprile 12 Martedì calendario

TATO’, COL WEB LA TRECCANI È DI TUTTI

Mentre ha ormai un piede il Lactalis, anzi in Parmalat dove i francesi lo vogliono alla presidenza del cda, Franco Tatò, 78 anni, si diverte a dare una mano di fresco alla grigie stanze dell’Istituto italiano dell’Enciclopedia che presiede, portando la Treccani in rete e pure gratis (www.treccani.it).

Con il gruppo Banzai come partner tecnologico, l’ex manager di Mondadori, Mediaset ed Enel investe la rete con una scarica di lemmi certificati e gratuiti, ponendosi in concorrenza con Wikipedia, sotto il dominio treccani.it.

Una scelta che ha fatto discutere più di uno studioso dell’istituto gentiliano ma che non ha scalfito minimamente la certezza del manager che si trattasse di un passo dovuto. «Perché l’abbiamo fatto?», risponde al cronista, «direi piuttosto: perché non l’abbiamo fatto prima?».

Domanda.

Decisione tardiva ma certo spiazzante, presidente. Perché l’avete presa?

Risposta. Innanzitutto eravamo ricchi dell’esperienza di questi due anni di presenza, anche se clandestina. Abbiamo ristrutturato il portale, rendendolo più accessibile e più importante. Il vantaggio della consultazione rispetto ad altre fonti, che peraltro noi rendiamo accessibili attraverso il portale, è una piattaforma aperta: non c’è solo Treccani.

D. Quale differenza c’è con altre forme di divulgazione online?

R. La differenza non sta tanto nella risposta al quesito – anche se pensiamo di avere l’eccellenza perché tutti i lemmi sono certificati e firmati. Il vero vantaggio sta nella disponibilità di quello che abbiamo costituito in 80 anni di storia: un patrimonio di lemmi ma anche la possibilità di collegarsi orizzontalmente con altre voci..

D. Quando lo avete pensato?

R. Treccani, con tutto il suo valore, rappresenta un paradosso: negli anni ha prodotto opere enciclopediche, la principale quella di Gentile, che hanno come caratteristica, da un lato essere frutto del lavoro di centinaia studiosi, invitati e pagati, dall’altro di essere messe in vendita a prezzi non troppo accessibili. Una messe di sapere ma a disposizione di un pubblico élitario: istituzioni, biblioteche e, in generale, chi può permettersi di comprare queste opere. Occorreva una grande operazione di divulgazione, aprendo a chi finora ne era escluso.

D. Vi sentite nella scia di Google, che sta costruendo un’immensa library?

R. Google è un’attività commerciale. Se ce le chiedessero metteremmo a disposizione la nostra enciclopedia. Personalmente ho visto con grande simpatia il poter disporre di un grande deposito di libri. Comunque quel progetto, importante e ambizioso, sta avendo le sue difficoltà e ne avrà ancora finché non si risolve il tema del diritto d’autore. D’altra parte i nostri lemmi sono come piccoli saggi e Treccani ne ha sempre acquistato i diritti.

D. E rispetto a Wikipedia?

R. Guardi che per certi lemmi, che noi non abbiamo, il portale rimanda alla voce wikipediana...

D. Un’alleanza?

R. No, buonsenso. Se avessimo dovuto scrivere noi quelle voci, avremmo fatto lo stesso e ci avremmo messo più tempo.

D. Un passaggio che è costato qualche polemica..

R. Di vecchi professori che non accettano che il mondo del web è un mondo diverso. Con le sue stranezze e i suoi errori ma che, proprio come quello contemporaneo, abbassa le soglie di accesso a qualunque cosa, aumentandone il rischio. L’utente di Wikipedia sa di muoversi a suo rischio e pericolo. Però l’enciclopedia dal basso rimane una grandissima operazione culturale e oggi c’è una richiesta di conoscenza molto più facile da soddisfare di un tempo, grazie anche a Wikipedia. Detto questo, dei nostri contenuti noi siamo responsabili e preferiamo dare altri servizi collegati ad altre voci. La nostra è un’idea di enciclopedia come hub, un punto dove partire alla ricerca di mille approfondimenti.

D. Lei scommette sui contenuti gratuiti quando gruppi editoriali come il New York Times decidono che è venuto il punto di chiudere e far pagare.

R. New York Times si è preso un grosso rischio. Non so dire quali sono le chance di riuscita. Chi soffre di più dello sviluppo in rete sono i quotidiani. Molti non hanno capito che leggere un giornale sullo schermo di un pc è altra cosa e che i tablet facilitano e migliorano la lettura - nitidezza, colori, ecc. - ma hanno lo svantaggio di poter essere fruiti da una sola persona e in questo senso bisogna abbattere di molto il prezzo della versione scaricata. Se non ci sarà un aumento esponenziale degli abbonamenti online, non si riuscirà a mantenere i giornali che hanno costi elevatissimi, avendo percorso questa idea folle delle redazioni divise fra carta e internet. Idea che ucciderà i giornali. Che si arrangino! Perché se non trovano qualche di nuovo, di fresco...

D. Che succederà?

R. Che la gente si servirà sempre di più degli aggregatori, cioè di quei siti che «spazzolano» Twitter, blog e siti, fornendo un’informazione di base piuttosto ampia...

D. Veniamo al portale. Offrite la consultazione di dizionario ed enciclopedia e quali altri servizi?

R. C’è una webtv che offre interviste di approfondimento ai nostri studiosi. Le risposte degli esperti, in video, che alimentano il Treccani channel su YouTube. E poi una rassegna stampa internazionale potentissima, inclusa molta stampa estera, capace anche di focalizzare i temi più caldi della rete.

D. Come si sostiene un progetto? Non cannibalizza il core-business dell’enciclopedia?

R. Intanto la visibilità online sostiene le attività tradizionali: chi vuol acquistare un’enciclopedia cartacea non rinuncerà solo se alcuni contenuti sono online gratuiti. È una fruizione completamente diversa. Poi, se il numero di visitatori supera qualche soglia è possibile vendere un po’ di pubblicità. Ma puntiamo di fare i ricavi offrendo il download di alcuni contenuti a pagamento dai costi molto bassi. A chi, per esempio, cercasse il lemma dedicato a Michelangelo verrà offerto a un euro un approfondimento sul Rinascimento. E all’orizzonte ci sono lezioni private a pagamento, con i nostri tutor. Un lavoro di affiancamento alla scuola.

D. Beh il Cepu non sarà contento...

R. Ma no, noi non vogliamo far passare gli asini ma offrire ai più bravi l’opportunità di approfondire (ride)...

D. Insomma, anche voi sull’e-learning. È di pochi giorni fa la notizia che Iniziattiva 21 di Benetton ha acquisito una società francese con 87 mila studenti.

R. Anche qui siamo in ritardo. Mi sono occupato di formazione a distanza in Enel, quando fondai Sfera, la società che doveva gestire tutto il training dei tecnici dell’ente in giro per l’Italia. Beh, dopo che me ne sono andato, nel 2002, l’hanno chiusa.

D. Che senso ha un’operazione come questa, in un periodo di forti tagli alla cultura? Insomma, perché regalare sapere quando un ministro ha ricordato che con i libri non si mangia?

R. Se tagliano le sovvenzioni alla cultura sono contento perché sono diventati una forma di sottogoverno. Se ti tolgono i soldi non possono più dirti cosa fare. E poi, stando agli sprechi, questa cultura sovvenzionata ha prodotto poco o niente. Questo è uno strano Paese: c’è una grande eredità ma anche un grande disinteresse. Anzi, c’è un degrado in forme eclatanti. Un paradosso: mancano laureati e quelli che ci sono disoccupati, mentre i cervelli fuggono. Forse, anziché sovvenzionare la cultura, faremmo meglio a investire quei soldi in borse di studio per i più bravi. Il senso di questa operazione è costruire un grimaldello con cui scalzare il disinteresse e il degrado.