Emilia Rossi, ItaliaOggi 12/4/2011, 12 aprile 2011
LA PRESCRIZIONE, DI COSA PARLIAMO
Al netto delle invocazioni retoriche e predicazioni apocalittiche per lo stato di diritto che hanno intessuto il dibattito parlamentare nella scorsa settimana, gli argomenti di contrasto finora pronunciati contro la proposta di legge firmata da Maurizio Paniz si possono sintetizzare in due postulati.
Uno: «È un’amnistia mascherata». Due: «È una legge ad personam che esclude ogni possibilità di dialogo sulla riforma della giustizia». Il primo è un’assoluta sciocchezza, in termini di diritto quanto di fatto. Il secondo, una vera sorpresa. La modifica della prescrizione dei reati, formulata nella legge in discussione, non tocca l’impianto dell’istituto attualmente vigente. Ne modifica, solo in parte, il contenuto, introducendo una lieve riduzione dei termini per gli incensurati: si passa da 1/4 a 1/6 della pena massima prevista per ogni reato. Tradotta in pratica, si tratta, in generale, di una differenza di durata del tempo massimo di prescrizione compresa in un ordine di grandezza che va da sei mesi a un anno.
Il che significa, ancora più esplicitamente, che reati come i maltrattamenti in famiglia, la violenza privata, la truffa, l’omicidio colposo e la rapina non aggravati, tanto per citare quelli di cui l’opposizione paventa l’aministia, si prescriverebbero nel tempo massimo di 7 anni anzichè di 7 anni e 6 mesi. E lo stesso varebbe, all’incirca, per i reati commessi dai politici, secondo la definizione di Italo Bocchino: l’abuso d’ufficio, la corruzione, l’istigazione alla corruzione ’perderebbero’ 6 mesi, 8 la corruzione in atti giudiziari, 10 il peculato e 1 anno la concussione.
Ora, considerando che è questa l’effettiva portata dell’innovazione legislativa, non è seriamente sostenibile che si tratti di un provvedimento che manda al macero migliaia di processi, con connesso danno per le vittime dei reati e assicura l’impunità di rapinatori, truffatori, violentantori, maltrattatori, abortisti illegali (si riesumano pure i residui di penalizzazione dell’aborto, quando occorre...), per non dire dei corrotti e affini. Perchè quelli che si prescriverebbero nel giro di qualche mese grazie all’anticipazione Paniz sono reati già destinati a prescrizione certa secondo le norme vigenti. Per disposizione transitoria, infatti, la prescrizione breve si applica nei procedimenti in corso soltanto se non è stata ancora pronunciata la sentenza di primo grado. E allora, se un processo per truffa, come, per esempio, quello compreso tra le vicende Parmalat, non arriva in sette anni alla pronuncia di primo grado, è di tutta evidenza che maturerà comunque la prescrizione nel tempo degli ulteriori sei mesi previsti dalle norme attualmente vigenti prima che si concludano tutti i gradi di giudizio compreso, probabilmente, il primo ancora in corso. Ora, se in sette anni non si arriva almeno a concludere il primo grado di giudizio per una truffa o una rapina semplice, in quasi dodici per un peculato e, peggio ancora, in quattordici per una concussione, il difetto va cercato in qualche stanza degli uffici giudiziari, non nelle pieghe della legge Paniz. È questo, la cronica lentezza dei processi, il difetto che avvilisce la domanda di giustizia delle vittime dei reati tanto quanto il diritto ad un processo giusto in capo alle persone che lo subiscono, è questo il vero scandalo dell’andamento della giustizia nel nostro Paese che dovrebbe realmente muovere l’indignazione del Parlamento. I numeri forniti dal Csm lo confermano. I 15 mila processi che si concluderebbero anticipatamente per gli incensurati con la nuova prescrizione sono nulla, infatti, rispetto alla media annua dei 150 mila che fanno la stessa fine e tra i quali quei 15 mila sarebbero comunque compresi se non nell’anno in corso, in quello successivo, visto che non si è ancora concluso il primo grado di giudizio. Il problema vero, dunque, non è il mascheramento di un’amnistia generalizzata che in realtà non si produce. Il peccato originale della proposta Paniz è la sua efficacia immediata in uno dei processi pendenti a carico del Premier. Di qui viene il secondo postulato: questa legge ad personam chiude ogni discussione sulla riforma della giustizia presentata dal Ministro Alfano. Argomento che suscita una vera sorpresa, considerato che la discussione e il dialogo parevano già chiusi fin dalla prima prospettazione della riforma costituzionale che, ancora a scatola chiusa, aveva riscontrato un immediato, netto e irritrattabile rifiuto da parte dell’opposizione tutta. In realtà di ciò che resta della legge sul processo breve nella formulazione Paniz si può dire che sia un provvedimento di cui non si avverte l’urgenza sul piano strettamente giuridico, anche perchè l’auspicata riforma della giustizia dovrà portare con sè una altrettanto radicale revisione del sistema penale sostanziale. L’urgenza è dettata, oggettivamente, dalla guerra fredda in atto e, forse, all’ultimo atto, tra potere giudiziario e potere politico. Se la politica tutta avesse a cuore realmente il proprio valore autonomo l’avrebbe già preservato con strumenti di maggiore dignità istituzionale, come potevano essere quelli del lodo Alfano o della reintroduzione nella Carta costituzionale dell’immunità parlamentare. Ma se una parte della politica persevera nell’uso del randello giudiziario, a costo del sacrificio della propria identità e del proprio valore, c’è da stupirsi di un colpo di randello legislativo se questo può assicurare che si vada avanti e si realizzi la vera riforma della giustizia, questa, sì, urgente e irrinunciabile?