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 2011  aprile 12 Martedì calendario

ZARZIS E LA NOTTE DI SCONTRI. GLI SCAFISTI IN RIVOLTA

«Venite, hanno preso il capitano» . E loro vengono, (anche se ormai sono le due di notte), armati di bastone, di coltelli e soprattutto delle peggiori intenzioni. Perché deve essere chiaro: i trafficanti di Zarzis non si fermano davanti a nulla, neanche al cospetto della Guardia nazionale marina, uno dei pochi frammenti di legalità sempre più approssimativa nella capitale dell’immigrazione clandestina. Ieri mattina le testimonianze di varia provenienza restituivano la descrizione prima di un assedio, poi di una vera battaglia, o meglio di una sommossa. I militari hanno sparato in aria, ma non ce l’hanno fatta a tenere testa ad almeno 200 (e forse anche più) uomini scatenati. Alla fine sono stati costretti a una fuga scomposta, a lasciare indietro un pick up incustodito che gli inseguitori hanno sollevato di peso e gettato in mare dalla banchina più corta del porto. Per quanto è stato possibile verificare (le autorità militari qui non parlano per definizione) non ci sarebbero stati feriti. Ma l’organizzazione che governa la rotta clandestina Zarzis-Lampedusa si è esibita in un’inquietante prova di forza. Sabato scorso, 9 aprile, si era capito a quale livello fosse arrivata la loro capacità di controllo del territorio. Ed è a quel pomeriggio che bisogna tornare per ricostruire l’antefatto essenziale degli scontri della notte tra domenica e lunedì. Verso le 15 un barcone con a bordo almeno 160 immigrati rientra in rada: è in panne. La Guardia nazionale marina (l’equivalente della nostra guardacoste) è stata avvisata e l’unica motovedetta ormeggiata nel porto si stacca dalla banchina per andare a controllare. Nello stesso tempo le «sentinelle» dei trafficanti hanno già dato l’allarme e i galoppini del «servizio d’ordine» accorrono in massa, con macchine e «scooteroni» . Si scatena una caccia agli eventuali testimoni indesiderati (fotoreporter e giornalisti). A tarda sera sembra tutto finito e il «carico umano» del battello viene riportato a terra. Questa volta, però, i gendarmi non possono fare finta di niente e il giorno seguente, domenica, procedono all’arresto del capitano della barca e del «capocommessa» . Alle undici di sera «una delegazione scelta» di trafficanti si presenta al presidio, di fronte allo spiazzo adibito al rimessaggio delle barche. Tre parole e sono già alle minacce. I militari tengono il punto. Si va avanti per una buona mezz’ora, dopodiché il più creativo dei criminali si dirige verso la jeep della Guardia nazionale parcheggiata fuori. Che cosa ha visto? La prova della penosa sciatteria in cui versano le forze dell’ordine nel Sud della Tunisia: un fucile dimenticato sul sedile posteriore. Facile indovinare dove sia finito un attimo dopo. E lì la sovranità dello Stato lascia il posto al suk. I «passeur» propongono: vi ridiamo l’arma (a quanto pare era scarica) e voi lasciate andare i nostri. Gli uomini in uniforme accettano lo scambio, ma una volta rientrati in possesso del vecchio Steyr si rifiutano di «liberare i prigionieri» . Forse pensano di aver vinto con questa furbata puerile. Ma l’avanguardia dei trafficanti chiama rinforzi: squadracce di almeno 200 bastonatori si concentrano davanti al posto di guardia. Qui le testimonianze si fanno più confuse e contraddittorie. Forse sopraggiungono anche altre decine di militari. Di sicuro si sentono raffiche di mitra sparate in aria. Ma a dover fuggire sono tutte le divise verdi. Alle loro spalle i vincitori danno fuoco a un battello sequestrato. Così, per marcare il territorio. Giuseppe Sarcina