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 2011  aprile 11 Lunedì calendario

Governo, no grazie Se ne può fare a meno - Lo scorso 28 marzo ha superato il re­cord dell’Iraq, rima­sto senza governo per 289 giorni, e ora ha superato di slan­cio anche la soglia dei 300 giorni: così, se nei prossimi due mesi non succede nulla, a Bruxelles si dovrà prendere atto che un Paese può vivere per un anno intero senza pre­sidente del Consiglio, senza un ministro delle Pari oppor­tunità, senza una frotta di sot­tosegretari all’economia, e via dicendo

Governo, no grazie Se ne può fare a meno - Lo scorso 28 marzo ha superato il re­cord dell’Iraq, rima­sto senza governo per 289 giorni, e ora ha superato di slan­cio anche la soglia dei 300 giorni: così, se nei prossimi due mesi non succede nulla, a Bruxelles si dovrà prendere atto che un Paese può vivere per un anno intero senza pre­sidente del Consiglio, senza un ministro delle Pari oppor­tunità, senza una frotta di sot­tosegretari all’economia, e via dicendo. Certo è curiosa la vicenda di questo Belgio che non solo è privo di un esecutivo, ma che per giunta negli ultimi mesi - grazie anche ai buoni risultati dell’economia tede­sca, con cui i belgi hanno rap­porti assai stretti - sta crescen­do. Merito del governo ad in­terim o dell’assenza di un ve­ro governo? La domanda può apparire strana, ma in realtà esiste una vasta letteratura (tra econo­mia e scienza politica, tra di­ritto e filosofia) schierata a di­fesa non soltanto della ridu­zione del peso dello Stato, ma addirittura della sua liquida­zione. In fondo, fu addirittu­ra un presidente degli Stati Uniti, Thomas Jefferson, ad affermare che il miglior gover­no è quello che governa me­no: e da quell’assunto Henry David Thoreau trasse la con­seguenza, ne La disobbedien­za civile (1849), che il miglio­re in assoluto è proprio quel­lo che non governa affatto. La mappa dell’antistatali­smo, e quindi di quanti sono persuasi che il Belgio farebbe bene a trovare una nuova de­stinazione ai Palazzi del pote­re, è troppo ampia per essere tracciata in un articolo. Qui si possono solo ricordare gli orientamenti principali, ri­cordando come tra i liberali sia comune la convinzione che ciò che fa lo Stato potreb­bero farlo assai meglio i priva­ti. Questa è la posizione di quanti vorrebbero scuole li­bere invece che istituti di Sta­to, ospedali Spa invece che Asl, uffici postali in concor­renza invece che strutture mi­nisteriali. Ma tra i liberali vi sono pure quanti, come Da­vid Friedman (figlio di Milton e autore de L’ingranaggio del­la libertà , del 1973) o An­thony de Jasay ( Against Politi­cs , del 1997), non vedono ra­gioni di distinguere le attività propriamente di mercato da quelle che vengono comune­mente considerate di stretta competenza dello Stato. Esiste insomma la possibili­tà di avere a prezzo inferiore e a una qualità migliore ognu­no dei servizi che oggi il mo­nopolio statale gestisce in esclusiva. L’economista ame­ricano Bruce L. Benson, ad esempio, ha scritto saggi im­portanti sul diritto ( The Enter­prise of Law , del 1990) e sulla protezione ( To Serve and Pro­­tect , del 1998) quali servizi di mercato, che nelle nostre so­cietà sono spesso scadenti proprio perché sono stati sot­tratti alle logiche competiti­ve. Queste considerazioni, prettamente economiche, non sono però le sole. Vi è in­fatti un altro gruppo di studio­si che a questi argomenti ne accosta altri: insistendo su questi questioni di natura mo­rale. Gli esponenti della scuo­la inaugurata da Murray N. Rothbard ( L’etica della liber­tà , del 1982) ritengono molto semplicemente che una so­cietà senza Stato, e quindi senza monopolio della violen­za legale, sia da preferirsi poi­ché le nostre istituzioni sono per loro essenza illegittime. Qui il punto cruciale è il ricor­so alla coercizione nei riguar­di di innocenti; e cioè il fatto che lo Stato è un apparato sot­to il controllo di un piccolo gruppo di persone che impo­ne la propria volontà a chiun­que. Lo Stato non è infatti un’azienda che offre servizi che si possano accettare op­pure no: l’agire del potere pubblico ricorda infatti don Vito Corleone - protagonista del film Il Padrino di Francis Ford Coppola- e le sue propo­ste che non si possono rifiuta­re. E se la letteratura sulla so­cietà senza Stato rischia spes­so di sconfinare in discussio­ni astratte, è anche vero che quelle categorie teoriche han­no avuto il merito di aiutare taluni storici a rileggere con occhi nuovi il passato, sco­prendo come nei secoli scorsi molti settori oggi monopoliz­zati dal ceto politico - dalla produzione di moneta alla protezione, dai tribunali alla previdenza - vedevano un’ ampia competizione di sog­getti in competizione. Non mancano nemmeno autori che, a dispetto delle ap­parenze, avanzano ipotesi che sembrano spingere verso l’esautoramento dello Stato stesso. Basti pensare allo sviz­zero Bruno S. Frey, un econo­mista liberale lontano da ogni estremismo che però ha proposto ( The New Democra­tic Federalism for Europe , del 1999) di attribuire a ogni co­mune la facoltà di secedere anche parzialmente dalla re­gione in cui si trova: smetten­do di contribuire al finanzia­mento di un settore e di rice­vere quel servizio. A un picco­lo centro del parmense non piace la sanità emiliana? Gli si lasci scegliere di non desti­nare più quei soldi a Bologna e mandarli al Pirellone, in cambio dei servizi sanitari lombardi. E se un domani un’agenzia privata offrirà ser­vizi migliori di quelli lombar­di e a prezzi competitivi, quel comune potrà cambiare di nuovo. Qui non si teorizza al­cuna anarchia di mercato e non si dichiara certo di voler abolire lo Stato. Neppure si in­siste sul carattere violento di un Potere che entra in casa no­stra anche quando non è invi­tato. Ma l’esito di questo mo­do di ragionare è un federali­smo estremo comunque de­stinato a produrre una pro­gressiva espansione del mer­cato: un universo in cui la li­bertà prevale sulle logiche sta­tali e in cui un Belgio senza governo non appare quale un incubo, ma semmai un buon auspicio.