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 2011  aprile 10 Domenica calendario

«L’America salverà l’Occidente» L’ultima intervista del Duce - Alla ipotesi avanzata da Renzo De Felice in Ros­so e Nero sulla concor­renza fra i servizi segreti inglese e americano per risolvere la «questione Mussolini» o nel senso di liquidarlo fi­sicamente o di deferirlo a un Tribuna­le internazionale, gli storici britannici hanno reagito male

«L’America salverà l’Occidente» L’ultima intervista del Duce - Alla ipotesi avanzata da Renzo De Felice in Ros­so e Nero sulla concor­renza fra i servizi segreti inglese e americano per risolvere la «questione Mussolini» o nel senso di liquidarlo fi­sicamente o di deferirlo a un Tribuna­le internazionale, gli storici britannici hanno reagito male. Richard Lamb ha scritto di non aver trovato traccia negli archivi del Public Record Office né del carteggio Churchill-Mussolini né di iniziative poste in essere dal premier britannico per far eliminare il dittato­re italiano da agenti dell’Intelligence Service. Pierre Milza, nel volume Gli ultimi giorni di Mussolini , di prossima pubblicazione per Longanesi, replica a tono a Lamb dichiarando di essere molto perplesso di fronte ai verdetti inappellabili pronunciati sulla base della consultazione degli archivi, in particolar modo quando si parla di ser­­vizi segreti i cui atti dovrebbero, per de­finizione, restare celati. La verità è che indizi o testimonian­ze, provenienti da ogni parte, sulle in­tenzioni degli americani sono innu­merevoli. Vanni Teodorani, genero del Duce e capo della Segreteria milita­re della Rsi, ha raccontato le trattative portate avanti nel tentativo di salvar­gli la vita. Ed ha accennato, anche, al ruolo nella vicenda di un personaggio quasi misterioso, il console america­no a Berna, Salvatore Guastoni, il qua­le, in quei drammatici giorni che pre­cedettero la fine della Rsi, giunse co­me emissario dalla Svizzera, per tratta­re la resa e il passaggio di poteri. E di un concitatissimo colloquio con lo stesso Guastoni, visibilmente preoc­cupato per la sorte del Duce, ha lascia­to una testimonianza l’ultimo federa­le repubblicano di Milano, Vincenzo Costa. L’emissario americano, dopo avere contattato Berna, si mise sulle tracce del Duce ma venne intercetta­to dal gruppo di partigiani comunisti guidati dal «colonnello Valerio» e fu imprigionato, sia pure per qualche ora, nel municipio di Dongo assieme al capitano Giovanni Dessì che era un agente dei servizi segreti del Regno del Sud. Anche un altro agente ameri­cano di origini italiane, il capitano Emil Q. Daddario, era entrato dalla Svizzera per una missione analoga, ma fu battuto sul tempo dal precipita­re degli eventi. Che gli americani, insomma, voles­sero Mussolini vivo è fuor di dubbio. E non manca chi ipotizza che, alla base di questo loro attivismo per salvare la vita del Duce, vi fosse, pur accanto all’ intenzione di imbastire un processo internazionale, anche il sotterraneo proposito di tenere, cinicamente, il Duce in vita, magari in Svizzera, come possibile «riserva anticomunista» se, a guerra conclusa, gli avvenimenti po­­litici fossero evoluti in una deriva filo­comunista. È una ipotesi estrema che potrebbe spiegare la «fretta» della «missione Valerio». In un dattiloscrit­t­o conservato da Renzo De Felice e de­stinato a ricostruire le ultime ventisei ore di Mussolini, Yvon De Begnac rac­contò che il 28 agosto 1948, l’ex sinda­co di Dongo, Giuseppe Rubini, ricevet­te a casa Giuseppe Negri, l’uomo che aveva riconosciuto Mussolini e lo ave­va fatto arrestare, e Michele Moretti, uno deipartigiani che si accreditò co­me esecutore materiale dell’esecuzio­ne. Proprio quest’ultimo, nel corso di quel colloquio, fece mettere a verbale: «Il Valerio volle la strage subito per ti­more di un intervento americano». Le cose, comunque, andarono co­me andarono e a Piazzale Loreto si concluse la vicenda della Repubblica Sociale. Nel suo libro Pierre Milza ri­corda una testimonianza di Giovanni Dolfin che presenta il capo della Rsi co­me un uomo in uno stato di sfacelo fisi­co e morale, sofferente, inquieto, ner­voso, dall’aspetto sempre stanco e pre­occupato. E questa immagine è con­fermata da altre testimonianze. Ce n’è una, in particolare, poco nota o addi­rittura sconosciuta, di un singolarissi­mo personaggio, il poeta francese, Pierre Pascal, che ebbe con Mussolini un lungo colloquio il 2 aprile 1945, po­co meno di un mese prima dei tragici eventi. (Fu poi edito dall’editore L’ar­nia nel 1948 col titolo Mussolini alla vi­gilia della sua morte e l’Europa ). Al­l’epoca, Pascal, che sarebbe morto a Roma nel 1990, era relativamente gio­vane essendo nato nel 1909, ma aveva avuto una vita avventurosa, come sol­dato impegnato in tutte le guerre, e co­me seguace, intellettuale e politico del capo dell’Action Française, Char­les Maurras, che aveva eletto a «mae­stro di vita e di morte». Era diventato noto come traduttore e come poeta ot­ten­endo gli elogi di Gilbert Keith Che­sterton. Aveva conosciuto Mussolini dieci anni prima, nel 1935, incaricato di una missione diplomatica «segre­ta » voluta da Pierre Laval per giungere a un riavvicinamento tra Francia e Ita­lia. Saputo della presenza di Pascal sul Garda, Mussolini lo fece chiamare e il poeta si trovò davanti a un uomo il cui «viso finora colorito, direi quasi san­guigno » era diventato «opaco come sono certi marmi». Il lungo colloquio è sorprendente, per i temi trattati che spaziano dall’arte alla politica,dai per­sonaggi del passato a quelli del presen­te, dalle battute alle considerazioni sul futuro. Ecco qualche pensiero afo­­ristico: «l’uomo tradito può essere un ingenuo. Il traditore è sempre un infa­me »; «il coraggio e la bontà: due gran­di leve e due grandi punti d’appoggio insieme.L’uno non dovrebbe mai an­­dare senza l’altra. Credo che siano i ve­ri termini della grandezza interiore»; «il senso della gloria non ci viene dalla ragione. La gloria è figlia del cuore». Sugli uomini i giudizi sono lapidari, co­me quello su Laval: «mi è sempre par­so un rivenditore di diamanti falsi. Gran­de argomentatore e disposto a qualun­que cosa». Oppure sono intrisi di nosta­l­gia come nel caso di D’Annunzio: «cre­do che egli mi abbia amato. Fu veramen­te l’animatore dei tempi oscuri». Al pessimismo dell’in­terlocutore france­se che prefigura una disintegrazione apocalittica dell’Oc­cidente, ribatte: «l’America non lo permetterà mai». E accenna al «mistero tedesco sempre pronto a cambiare la faccia del mon­do », aggiungendo: «i tedeschi sono in­vincibili. Nonostan­­te tutto, malgrado lo­ro stessi». E si lancia in un curioso con­fronto fra la civiltà «nostra» che «ha la forma di una pirami­de c­on la punta ver­so il cielo » e la civiltà tedesca che «è una piramide di cui la punta è invece in basso, nell’ombra di quel che i loro pensatori chiamano Storia». Elucu­brazioni e voli pindarici, in questo sin­golare colloquio con un poeta, che mostrano un uomo ormai fuori della realtà mentre si addensano, sul suo ca­po, ombre minacciose.